Intervista a cura di Francesco Alò

Rockettaro, videoclipparo, regista pubblicitario, shooter con anima per Hollywood dove fa un po' tutto: strampalati veicoli per star (The Mexican), remake (The Ring), drammi dove Michael Caine è finalmente antipatico e Nicolas Cage non strabuzza gli occhi (The Weather Man). Poi Jerry Bruckheimer gli affida un film da un'attrazione di un parco a tema. Molti suoi colleghi avrebbero detto: “Ma va là!”, e invece lui ci si mette di impegno e vengono fuori tre Pirati dei Caraibi di cui il secondo è il quarto incasso di tutti i tempi nel mondo. Ha diretto rane (Bud-weis-er!), lucertole, topolini sotto sfratto, furetti, scimmie. Tranne fantascienza e gore, Gore ha fatto quasi tutto. Mancava un camaleonte attore e il western. Eccoli qua: Rango.

Come vedi Hollywood oggi?
E' uno strano posto. Ora come ora l'ufficio marketing prende sempre il sopravvento su altri reparti. Quello che un studio sottopone a un regista sono dati: dati di ricavo, dati sul pubblico, dati sui trend che funzionano, dati sulla campagna promozionale. Lo comprendo, ma è esagerato. A volte il pubblico vuole qualcosa di completamente nuovo e originale. E' un'interessante contraddizione: gli studios cercano sempre un successo commerciale basato sull'originalità ma per colpa dell'impostazione “data oriented”… forzano il regista a non cercare l'originalità. Il pubblico vuole qualcosa che non sia stato testato. Che non sia stato provato.

E' il caso di Rango?
Esatto. Non abbiamo chiesto il permesso a nessuno. Avevo 12 pagine scritte di storia. Volevo farlo. Niente di più. Nessun contatto con gli studios. Io e quattro amici ci siamo riuniti in una casa…

Ubriachi?
(Ride) Forse un po'. Di tequila. Il film è stato un processo lungo tre anni e mezzo. Il primo anno e mezzo è stato illustrazioni a mano, un microfono, computer portatili, chitarre. Incredibilmente low-tech. John Logan, James Ward Byrkit, James Carson e il sottoscritto. Illustrazioni, un barbeque, hot dog, camminate. Veramente un progetto tra amici…

Dove precisamente?

Una vecchia casa sulle colline di Pasadena, California. Abbiamo lavorato lì per un anno e mezzo e non c'era alcuna presenza di studio. Una volta finita questa presentazione molto grezza ma completa del progetto, abbiamo cominciato a portarla in giro a leggere. Non avevamo alcuna idea degli attori. Ma il film era lì. Ogni personaggio era perfettamente delineato.

E poi?
Una volta che lo studio si è interessato sono arrivati i soldi e la programmazione: abbiamo passato un anno e mezzo a traghettare Rango da quelle pagine sporche a una corretta pianificazione per un cartone animato di serie A.

E tutto è diventato “data oriented”?
L'ufficio marketing è entrato nel progetto quando ci siamo avvicinati alla pianificazione della data di uscita. Si sono preoccupati che non fosse abbastanza per bambini. Ma è andato tutto bene. Rango è lo stesso film che volevamo fare 3 anni e mezzo fa. Quando eravamo ubriachi.

Hai registrato le voci degli attori insieme. Perché?
verbinskiPenso che sia molto naturale per un regista che viene dal cinema dal vivo voler vedere il suo cast insieme davanti a dei microfoni. Forse un regista d'animazione è più abituato a immaginare il suo cast diviso. Per noi che veniamo dal cinema dal vivo, penso sia più facile e immediato avere davanti più di un attore e non montare la loro interazione in post-produzione ma vedere direttamente quello che viene fuori da uno scambio. Quella che chiamiamo “emotion capture” è catturare dal vivo la relazione tra attori e permettere allo “sbagliato”, all'imprevisto, di aggiungere organicità al film. Il processo di realizzazione di un cartone animato è, comunque, più inorganico rispetto al film dal vivo.

Cosa ti sei inventato per rendere più organica la lavorazione di Rango?
Eravamo in uno studio di registrazione molto isolato e confortevole. E' molto difficile che l'errore, lo “sbagliato”, entri in una situazione del genere. Ho cercato di far scontrare fisicamente gli attori, inserire qualche oggetto tra loro e il microfono, creare un po' di caos.

Differenze tra film dal vivo e animazione?
Più controllo, più stancante. Devi discutere cose come: “Rango dovrebbe battere le ciglia per 12 frame, poi avere 9 frame di spasmi muscolari e poi dire la battuta. Devi calcolare ogni cosa. La luce, spostare un oggetto un millimetro più a destra o più a sinistra. Il colore della pelle. E' molto, molto diverso. Ogni cosa che tu vedi nell'inquadratura è fabbricata. Ovviamente. Quando giri dal vivo, anche se hai pesanti interventi del digitale nell'inquadratura, qualcuno, di solito madre natura o uno scenografo, ha già fabbricato qualcosa per te sul set.

Perché il riferimento a Paura e Delirio a Las Vegas?
Per divertimento. Avevamo concepito quella scena in un modo veramente folle. “E se la cadillac rossa di Hunter Thompson andasse a sbattere contro Rango spiaccicandolo sul parabrezza?”. Ci faceva molto ridere. Poi ci siamo chiesti: “Che direbbe Thompson a quel punto? Diamogli una battuta!”. E visto che Rango è un camaleonte e Thompson aveva avuto precedenti allucinazioni vedendo rettili ovunque, la battuta perfetta era: “Eccone un altro!”. Era anche Johnny Depp che parlava a Johnny Depp. Era stato Hunter Thompson in Paura e delirio a Las Vegas ed ora dava la voce al nostro Rango.

Hai voluto citare il western in generale, ma Sergio Leone primeggia come referente rispetto a Ford, Hawkes e Peckinpah. Perché?
Perché la sua reinterpretazione di John Ford è stata essenziale per la storia del cinema. Sono cresciuto con i film di Leone. Li vedevo da piccolo.

A quanti anni?
Mi ricordo… avevo nove anni quando vidi Giù la testa e mi sconvolse. C'erano riflessioni politiche, composizione dell'inquadratura, musica magistrale. La musica, come nei film di Hitchcock se non di più, era un personaggio del film. Uscivi dal cinema con quelle splendide melodie in testa. Rango è un attore. Lui conosce i film di Leone, lui conosce il western. Prima di essere proiettato in questa folle avventura nel deserto, lo abbiamo visto recitare nella palla di vetro dove viveva.

Quando incontra L'uomo senza nome… sa chi è L'uomo senza nome…
La palla di vetro dove viveva a casa dei suoi padroni… evidentemente era molto vicina alla televisione!

 

 

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