Nel paese dove il destino di tutti è già scritto, l’uomo senza fato in verità è un re.

Sulla scia del grande successo di Skyrim, un nuovo gioco di ruolo dagli ampi orizzonti cerca di farsi strada nel mercato. Kingdoms of Amalur: Reckoning, un nome complesso tanto quanto l’approccio al gioco stesso da parte dei giocatori meno navigati.

Il principale problema di Reckoning risiede infatti nell’incipit: quelle prime 2/3 ore di gioco (che, ogni sviluppatore lo sa bene, dovrebbero sempre essere in grado di trascinare il giocatore e renderlo dipendente da certi meccanismi di azione/ricompensa) non lasciano il segno, perdendosi tra nomi impronunciabili e un universo di gioco poco credibile sin dalle prime battute. Soprattutto, lasciano per troppo tempo in secondo piano ciò che nel gioco funziona meglio, ossia i combattimenti.

Le premesse contano, e non poco. Purtroppo Reckoning le spreca quasi completamente, mostrando i suoi difetti molto prima di portare in superficie gli innegabili pregi. La causa potrebbe annidarsi nella fase di concettualizzazione del prodotto, che sembra essere stato ideato più come una lunga lista di feature che un’esperienza a tutto tondo, un errore comune, al quale rimediare non è facile.

Il risultato è un gioco di ruolo e d’azione che per le prime ore confonde e non convince, presentando una caratterizzazione grafica molto derivativa (impossibile non riconoscere i tratti di Fable e World of Warcraft) e meccaniche che stentano a decollare.

Persino la storia, nonostante la firma di R.A. Salvatore (se non lo conoscete, potete fare ammenda qui) le conceda una profondità e una ricchezza di dettagli notevole, vive del medesimo paradosso: inizialmente risulterà banale e superflua, ricoprendo letteralmente il giocatore di informazioni anche quando la missione in questione richiede semplicemente l’uccisione di una serie di creature, mostrando solo in seguito i suoi lati migliori.

Passando a ciò che Reckoning fa bene, non si può non citare il sistema di combattimento e di crescita del personaggio, strettamente interconnessi. Il primo pesca a piene mani dalla tradizione del videogioco d’azione (God of War su tutti), proponendo un taglio inedito per il combattimento in un gioco di ruolo: proprio dove la concorrenza tende a proporre schermaglie sostanzialmente statiche o prive di un forte feedback (vedi Skyrim), la produzione Big Huge Games offre un combat system veloce e dinamico, basato su classiche combo colpo veloce/potente e accompagnate da una sorta di “berserk” legato al caricamento di una barra. Che si scelga la strada del guerriero, del mago o del ladro, gli scontri restituiranno sempre una spiccata spettacolarità grazie alle buone animazioni e, soprattutto, meccaniche action molto riuscite.
A questo si affianca una grande libertà a livello di crescita del personaggio, adeguatamente contestualizzata anche dal punto di vista narrativo: ci troveremo infatti nei panni del Senza Fato, l’unico che può avventurarsi nelle terre di Amalur senza che il suo destino sia già tracciato davanti ai suoi passi. Questa particolarità deriva dalla condizione di “morto e risorto” del protagonista, che scopre lentamente di poter plasmare il fato come meglio crede. Quando il mondo si troverà minacciato da forze oscure, il nostro alter ego diventerà immediatamente uno strumento preziosissimo nelle mani del bene, l’unico in grado di capovolgere il destino già scritto.

 

 

In termini di gameplay, questo si traduce nella possibilità per il giocatore di spendere liberamente i punti abilità accumulati con il crescere dei livelli nei tre alberi a disposizione: specializzarsi sarà comunque possibile, ma il fascino degli ibridi tra Guerriero, Mago e Ladro sarà irresistibile. Per quanto affascinante, questo sistema nasconde insidie ancora una volta legate a falle di game design: durante le prime ore di gioco capiterà spesso di trovarsi spaesati di fronte alla spesa dei punti di abilità e scegliere conseguentemente un percorso poco fruttuoso, costringendo dunque il giocatore a “respeccare” (termine derivato dalla tradizione MMORPG, che indica il recupero di tutti i punti abilità sino a quel momento spesi), un’operazione perlatro molto costosa in termini di valuta di gioco.

Onde enfatizzare il più possibile la centralità dei combattimenti nel mix contenutistico, gli sviluppatori si sono trovati a dover risolvere un grosso dilemma nel disegnare il mondo di gioco: da una parte, la volontà di proporre un’ambientazione molto vasta e fortemente caratterizzata a livello di storia a tradizione, dall’altra la necessità di “incanalare” il più possibile i percorsi esplorativi, così da mantenere il focus sui combattimenti. Un equilibrio quasi impossibile da rispettare, con il risultato che le terre di Amalur risultano artificiali e “costruite”, ricche di vistosi corridoi circondati da muri invisibili. Un problema che si estende a tutte le componenti dell’offerta ludica, dalla caratterizzazione dei nemici, davvero poco ispirata, alle attività di raccolta e relative professioni, standardizzate e legate a un quantitativo di materie prime troppo esiguo per suscitare vero interesse nel giocatore (in questo senso, il quantitativo di “ricette” e oggetti creabili in Skyrim è davvero un lontano sogno).

Ormai dovrebbe risultare evidente come il lavoro di Big Huge Games si sia concentrato più nell’ammassare contenuti all’interno di un disco piuttosto che legarli con una storia e una contestualizzazione forti e convincenti. Il risultato sono circa 20/30 ore di gameplay (a seconda che si decida di affrontare le piatte quest secondarie o meno) che riescono a raggiungere un apice qualitativo solo verso la metà, rischiando di scoraggiare i giocatori più interessati al lato “ruolistico” dell’esperienza, ossia all’immersione in un mondo credibile e regolato da meccaniche “vive” e interessanti.

Dal punto di vista strettamente tecnico, Kingdoms of Amalur: Reckoning rappresenta un buon lavoro e poco più. La mancanza di coesione tra i suoi elementi si riflette anche nel design, che si perde nel citazionismo senza lasciare quasi mai il segno (con l’eccezione rappresentata da alcune location molto ispirate, ma sempre legate alla deludente struttura “a corridoi”, che limita gli istinti esplorativi). Il tratto cartoonesco e i colori vivissimi strizzano l’occhio alla tradizione di Warcraft, seppure l’utilizzo di effetti luce di primordine e texture molto definite rendano nel complesso il motore grafico piuttosto “pesante” da digerire. Il risultato sono caricamenti molto lunghi su console o la necessità di un hardware performante su PC, naturalmente ripagato da un maggiore livello di dettaglio e da tempi d’attesa molto ridotti.

Kingdoms of Amalur: Reckoning è il frutto di un interessante esperimento riuscito solo a metà. Il proposito di unire combattimenti action alla tradizione ruolistica è stato felicemente coronato, e farà senza dubbio la gioia di quella fetta di pubblico in cerca di scontri dinamici e spettacolari. D’altra parte, coloro che in un gioco di ruolo cercano immersività, storia e personaggi convincenti e un vero “mondo parallelo” in cui perdersi, rimarranno inevitabilmente delusi, e dovranno affrontare un buon numero di ore di gioco prima che i lati positivi del mix finalmente emergano.

Con quete debite premesse, Amalur potrebbe rappresentare una buona scelta per tutti gli appassionati di giochi d’azione in cerca di una maggiore profondità, a patto di non aspettarsi troppo dall’elemento esplorativo e dalla contestualizzazione.

[Voto: 7,5]