Tornati dal festival più importante del mondo la sensazione è di non aver assistito ad una parata da mozzare il fiato ma più ad alcuni acuti intervallati da scelte decisamente più opinabili e guidate da motivazioni e principi diversi da quelli della “migliore scelta”.

In ogni festival maggiore vediamo grandi maestri, grandi film e le carte migliori calate dai talenti maggiori, solo a Cannes, con l’impressionante regolarità che gli riconosciamo, è possibile anche vedere il meglio di quello che sta nascendo.

Non è stata un’edizione fenomenale, questa di Cannes67, dopo l’ubriacatura dell’anno scorso questa volta non abbiamo visto nulla di particolarmente devastante. Buon per noi, anche in virtù di questo un film non eccezionale ma semplicemente ben riuscito come Le meraviglie ha potuto piazzarsi sul secondo gradino del podio e bene per Xavier Dolan, cineasta che in Italia non conosciamo praticamente per niente e che forse con questo riconoscimento riusciremo a vedere un po’ di più (i suoi primi 4 film sono imperdibili se volete capire come si possa fare qualcosa di nuovo oggi e Mommy è un passo ancora più in avanti). E bene infine per Nuri Bilge Ceylan che l’anno scorso con C’era una volta in Anatolia per la prima volta ha incassato nel nostro paese più di quel che si sperasse (e più di quanto siamo abituati per questo tipo di film) e che ora grazie alla palma d’oro avrà una carta in più da giocarsi (si spera) con un film fantastico.

La molto sbandierata giuria femminile non ha infine prediletto le donne (e per fortuna! Ha prediletto i migliori a prescindere dal sesso) ma, come aveva annunciato, i giovani, dando loro i due premi più importanti dopo la Palma. E questa forse è la cosa più da “Cannes” che abbiamo visto quest’anno, cioè l’opportunità di vedere un lampo su quel che ci aspetta per i prossimi anni. Il festival francese ha lanciato tutti i più grandi cineasti contemporanei (quest’anno si celebrava il ventennale della palma a Pulp Fiction ed è solo un esempio) e leggendo tra le righe è sempre possibile capire quale piccola evoluzione quest’annata del cinema ha portato.

In questo senso occorre ricordare che non c’è solo il concorso (nel quale il cinema di genere ha lasciato molto a desiderare, nessun horror e un paio di polizieschi abbastanza banali) ma anche la Quinzaine des realisateurs, cioè la sezione dedita alla scoperta di nomi e personalità ancora non sfruttate e usurate dal cinema.

Whiplash e Love at first fight sono i due titoli che hanno più impressionato in questo senso. Damien Chazelle ha realizzato un film di sudore, sangue, lacrime e carne escoriata, una vera bomba, mentre con Love at first fight Thomas Cailley ha saputo raccontare attraverso la cornice dell’amore postadolescenziale una storia di pura sopravvivenza e vero “combattimento umano”. Sono entrambe opere prime, esordi fenomenali non solo per perizia tecnica ma soprattutto per la diversità rispetto a quel che si vede solitamente. Non è detto che riusciranno ad essere distribuiti in Italia purtroppo, tuttavia se ne sta parlando molto e molto bene in rete.

Quando ci chiediamo che senso abbiano oggi i festival di cinema dobbiamo ricordarci di qual è stata l’ultima volta che abbiamo sentito parlare di qualcosa di nuovo.