Intervista a cura di Francesco Alò e Andrea Bedeschi

Introduzione a cura di Andrea Bedeschi

 


BadTaste.it intervista David Fincher

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Di un normale pomeriggio di settembre a base di esperienze di quasi morte nel traffico romano e chiacchierate col regista di Fight Club e L’Amore Bugiardo – Gone Girl

 

 

Roma, 12 settembre 2014.

Terminata la Masterclass di David Fincher con gli studenti del Centro Sperimentale di Cinematografia tenutasi alla casa del Cinema, Francesco Alò e io c’intratteniamo un po’ a discutere – di cinema naturalmente – con qualche studente della scuola.

Ma il tempo a nostra disposizione è poco e quantomai tiranno: dobbiamo infatti dirigerci verso l’Hotel De Russie per intervistare il filmmaker di Denver. Per raggiungere la struttura utilizziamo il mezzo di locomozione supremo per gli spostamenti all’insegna della rapidità fra le vie della Capitale: lo scooter.

Lo ammetto: in tutte le volte che sono stato a Roma per lavoro o per diletto – o per entrambe le cose – non avevo mai avuto modo di provare quest’esperienza. Non che mi aspettassi la versione “bromance” di Vacanze Romane, con Alò e me in versione Jonah Hill e Channing Tatum all’amatriciana (in effetti il dinamico duo Alò-Bedeschi è più dalle parti di Phil Lord e Chris Miller che da quelle di William Wyler), ma neanche una strizza analoga all’iSpeed di Mirabilandia. Nonostante i “Tranquillo Bede! Arriveremo tutti interi” di Francesco, quando abbiamo parcheggiato lo scooter ho avvertito come un liberatorio senso di leggerezza.

Arrivati all’albergo, i brividi per l’esperienza di quasi morte, per citare l’Edward Norton di Fight Club, vengono sostituiti dall’agitazione per l’imminente intervista. Francesco aveva già avuto modo di rompere il ghiaccio e di parlare in separata sede col regista prima del suo ingresso in sala per il Botta & Risposta e, quindi, era più disteso. “Andrea, David è un grande, vedrai sarà una chiacchierata interessantissima”. Non che dubitassi della cosa, ma Fincher è noto anche perché se ha a che fare con giornalisti che gli porgono domande banali o stupide – o, peggio, con dei radical chic boriosetti – non è solito nascondere il proprio “disappunto” con osservazioni ficcanti.

Al nostro ingresso nella stanza in cui si deve svolgere l’intervista veniamo accolti dalla PR della Fox. Il regista si è assentato due minuti.

Quando si palesa nel salottino sorride subito vedendo Francesco “Oh, hi! It’s you again!” e poi, stringendomi la mano, abbassa lo sguardo divertito verso la mia t-shirt su cui campeggia il faccione peloso di Chewbacca e la scritta “Wookie of the Year”. D’altronde parliamo di un autore che a neanche vent’anni lavorava già all’Industrial Light & Magic.

Maglietta a parte, è evidente come non sia una persona che si limita a guardare. E’ una sorta di scanner umano che, nell’arco di una frazione di secondo, è perfettamente in grado di capire chi si ritrova davanti.

E va detto che nel caso di Francesco Alò e del sottoscritto è stato alquanto agevole capire che dinnanzi a lui c’erano due “movie guys” estremamente smaniosi di parlare di L’Amore Bugiardo – Gone Girl e non solo. Due giornalisti che non si sarebbero mai e poi mai aspettati di ritrovarsi a parlare di sesso e mutandine femminili con l’artefice di Se7en e The Social Network.

 

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Partiamo subito dalla difficoltà nell’adattamento. E’ stata dura?
E’ stato veramente difficile adattare… quante sono… quattrocento pagine?

Nell’edizione italiana 462…
Ecco, c’è qualcuno che le ha contate. Abbiamo analizzato quindici differenti versioni della sceneggiatura che poi diventavano quindici film completamente diversi. Mi ero quasi scordato alla fine come il fosse il libro. Quando con Gillian abbiamo cominciato a lavorare all’adattamento ho cercato di arrivare al cuore della storia. Nonostante ci siano deviazioni e digressioni narrative… la storia è fondamentalmente il matrimonio tra Nick e Amy. Il film parla di questo. Una volta che l’ho capito mi è venuto naturale introdurre anche degli aspetti satirici. Gillian Flynn è sempre stata molto sicura di sé. Sicura del fatto di poter prendere gli spettatori e far fare loro un viaggio nel mistero per poi trasformarlo in un thriller dalle venature assurde che poi si trasformasse di nuovo in una satira del matrimonio. Gillian era inarrestabile e propositiva. Se avessi trovato un autore che mi avesse detto: “Ok… adesso basta, fermati ti prego” mi sarei fermato. Ma Gillian non faceva altro che propormi nuove vie di adattamento cinematografico. Lei per prima. Ho trovato tutto ciò molto interessante. Lei conosceva perfettamente tutti i suoi personaggi. Quando le ho detto: “Gillian… l’avvocato Tanner Bolt nel tuo libro non è afroamericano. Io penso che possa essere afroamericano nel film, carismatico e gentile”. Non il cliché dell’avocato truffaldino, ma un buono e generoso perché Nick è già circondato da così tanti problemi e misteri nel film. Tyler Perry era perfetto per ottenere questo risultato. Volevo che qualcuno si avvicinasse a Nick e gli dicesse: “Questa è la tua via d’uscita” ma che risultasse credibile nel farlo. Gillian ha subito accettato e io trovo che per questo motivo sia una scrittrice molto coraggiosa e aperta.

E il finale?
C’erano quattro finali… forse cinque. Ho pensato che dovessimo solidificare la nostra tesi ed essere coerenti con l’assunto in modo tale da portare il pubblico a pensare: “Tutto questo è sconvolgente!”.

Non avevi paura di tutti questi colpi di scena?
Un film è un viaggio. Un gruppo di personaggi deve essere trasportato in un modo credibile in relazione ai loro problemi. Pensate a Interceptor – Il guerriero della strada (1981; primo capitolo della saga Mad Max, N.d.R.). Tu incontri Max all’inizio del film sulla strada… poi alla fine del film saluti quel Max dell’inizio della pellicola. C’è una inevitabilità in un buon finale. Il finale di Seven aveva anche lui la sua inevitabilità. Guardavi il film e dicevi: “Forse il poliziotto di Brad Pitt con il suo fuoco interiore può risolvere questa faccenda”. Poi alla fine lo guardavi e pregavi: “No! Non farlo, ragazzo!”. Lui lo faceva e tu pensavi… è inevitabile. Il male ti corrompe. L’inevitabilità di Social Network era… bastava che lui la toccasse nella prima scena. Bastava che Zuckerberg entrasse in un contatto umano con lei e Marc avrebbe risolto tutto. Alla fine lui si trova quasi nella stessa scena iniziale solo che lei stavolta è sullo schermo e dopo tutte quelle parole, quegli scontri, quella scalata al potere, quegli sforzi… ti rendi conto che tutto il film e la storia di Marc nascono da quella scena iniziale in cui lui non entra emotivamente in contatto con lei. Io penso dunque che la fine di un film abbia una sua sorta di predestinazione dettata da tutto ciò che la pellicola è stata prima. A volte fin dalla prima scena. Anche per L’amore bugiardo – Gone Girl abbiamo pensato a una conclusione che facesse pensare allo spettatore: “Ok, certo. In fondo non può andare che così”.

Come hai giostrato i punti di vista rispetto al libro? Il film parte come una sorta di Rashomon 2.0.
Questo è complicato. Il libro è: “Lui dice e Lei dice”. Il lettore deve essere l’arbitro. Il film non è così. Il film è “Lei dice e… Lui si trova nei guai”. Totalmente soggettivo il punto di vista di Amy, mentre è totalmente oggettiva la parte su Nick. Il mio più grande timore era proprio rispettare il libro in questo senso. Allora abbiamo scelto che la parte di Nick venisse raccontata tutta attraverso il comportamento, mentre tutto il lato di Amy fosse all’insegna del: “Ti scrivo la mia versione”. Una volta che tu, come spettatore, arrivi a chiedere a Amy: “Perché mi scrivi la tua versione?”… è fatta perché hai cambiato atteggiamento nei suoi confronti. In un modo piuttosto bizzarro Nick passa attraverso svariate fasi e tu pensi: “Non ci posso credere”. Poi alla fine vuoi una guerra, vuoi che lo spettatore sia dentro una guerra per poi dirgli… scusa ma che cavolo te ne frega a te? I matrimoni sono sempre estremamente problematici e spesso e volentieri falliscono. Tu dove eri quando accadeva? Questa è la storia di Nick e Amy.

Nick potrebbe essere considerato il pubblico all’inizio?
No, non penso. Penso che l’agente di polizia Rhonda Boney sia più il pubblico all’inizio. Lei non fa altro che ripetere: “Aspetta un attimo… questa storia non mi torna…”. La chiave è: Nick è coinvolto nei fatti. Punto. Boney, invece, è appena arrivata nella storia, proprio come lo spettatore, e dice subito che questa non è una caccia alle streghe. C’è una via facile, pregiudizievole, che lei non vuole seguire.

Tyler Perry come avvocato è quasi disturbante per quanto è divertente. Volevi questo?
Mi rendo conto che… non l’ho mai fatto smettere di ridere! E’ vero. Ho scelto la risata perché è l’unica risposta logica all’assurdità della situazione in cui si trovano Nick ed Amy. Una volta che il film diventa un thriller… diventa il thriller più assurdo che ti sia mai capitato di vedere. Tyler Perry dice sempre: “La verità non è importante. La verità è irrilevante”, Ben Affleck gli ribatte a muso duro: “Ma IO ti dico la verità!” e lui ribatte: “Devi lavorare di più sulla percezione della verità. E’ quella che potrebbe salvarti”. Questo è un argomento molto interessante per il nuovo millennio non trovate?

 

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L’amore bugiardo in italiano ti piace come titolo?
Non troppo. In Germania c’è addirittura La perfetta scomparsa. Gone Girl mi piace tanto. E’ un titolo più dadaista e meno apparentemente coerente. E’ così buffo il contesto che crea differenti titoli e poster. E’ una cosa che mi ha sempre divertito del cinema.

E se tu avessi giocato con l’idea che l’amore si ripresenta anche se sotto una forma più malata?
Questo proprio non lo puoi fare allo spettatore. Devi poter fare in modo che il pubblico si fidi di te come narratore. Come puoi vendere al pubblico il fatto che da un rapporto così in rovina possa nascere qualcosa di sentimentale? Nel momento in cui l’amante di Nick Andy arriva dentro il film… il pubblico si divide nettamente in due. Le donne si incazzano e gli uomini si svegliano. In quel momento non puoi più parlare di amore.

E’ una battaglia dei sessi allora? Il sesso è lotta di potere come dice Frank Underwood? Ho pensato molto a House of Cards guardando il film…
Di certo ci hai pensato di più tu di quanto non abbia fatto io [ridendo, ndr.]! La battaglia dei sessi è una riduzione triviale della natura del film. La battaglia su chi ha più potere all’interno del rapporto uomo-donna oggi come oggi è un’idea vecchissima. E’ un concetto cinematografico molto da ‘900 perché ormai abbiamo tutti abbracciato l’idea di trasformarci in qualcuno e rilanciarci come qualcos’altro. E’ assolutamente possibile.

No, ma infatti il mio riferimento prescindeva dal rapporto uomo-donna. Era in generale, anche fra una coppia uomo-uomo o donna-donna.

I vecchi ruoli non esistono più. Noi siamo il prodotto di tutto ciò che facciamo bene e di tutto ciò che facciamo male. Il passato è il passato. Il tema del film è il dissonante spazio tra la mia proiezione narcisistica di come voglio essere visto e la realtà dei fatti in cui mi rendo conto di essere quello che sono. Il narcisismo non è un riflesso di noi stessi. Il narcisismo non è qualcuno ossessionato dalla riflessione su se stesso. No. Il narcisismo è l’incapacità di accettare la realtà su chi siamo veramente. Tutta la nostra energia va quindi proiettata su questa immagine di noi stessi che vogliamo che le persone abbiano. Quando parli di coppia… la cosa più moderna che Gillian abbia fatto sul tema è domandarci brutalmente:  “Chi è che deve decidere chi dei due abbia incastrato l’altro quando si vuole far colpo?”. Incastrare è forse un’espressione troppo forte. Se tu hai fatto un certo tipo di azioni per sedurre una persona o meglio la persona con la quale tu vedi il tuo futuro… chi si può permettere di dire che non avrebbe fatto la stessa identica cosa, nello stesso identico attimo? E’ un’idea brillante. Se tu apri instagram vuoi mostrare le foto della persona migliore che tu sia mai stato con le scarpe migliori che hai mai comprato trovandoti nei migliori posti dove sei mai stato. Cosa ha a che fare tutto ciò con quello che sei veramente? Niente. Questa certezza di essere sulla copertina della tua propria rivista è un elemento che ti avvelena la vita. Quando diventiamo esausti di tutte queste costruzioni e proiezioni di noi stessi, possiamo mollare. Torniamo a Nick e Amy. Quando una coppia si intossica, ecco uno dei due che decide di mollare l’idealizzazione della propria vita, facendolo peraltro in un modo spettacolare. La rappresaglia nei confronti di quello che ha mollato… sarà altrettanto spettacolare! Questo supera la realtà. Il film assume venature assurde e allora porti il pubblico in quel territorio dove l’amore non puoi più proporlo allo spettatore perché lui, per giustificare ciò che sta vedendo, deve cominciare un altro film. Ovvero il nostro finale.

C’è sempre un personaggio nei tuoi film che prova a fregare qualcun altro dimostrandosi più intelligente e scaltro. Sei d’accordo?
C’è una battuta di Steve Martin che mi fa molto ridere e fa così: “Sapete mio nonno una volta disse: ‘Sempre’… no, no, adesso ricordo… disse: ‘Mai nemmeno una volta…”. E’ una battuta che spiega come sia difficile per me prendere sul serio la parola “sempre” nella mia filmografia. Mi piacciono personaggi duri e tosti. Le persone intelligenti possono essere manipolatorie. Le persone intelligenti possono mentire. Più che altro sono interessato a storie che non ho mai visto prima al cinema. Sicuramente non avevo mai visto un personaggio come Amy o come il nostro Sherlock Holmes del Midwest Rhonda Boney . Mi piace il suo istinto. Poi… se c’è un personaggio che dà tutto se stesso per aiutare un altro personaggio è Desi Collings… anche se diciamo che lo fa in un modo tutto suo!

Neil Patrick Harris è un Desi Collings grandioso…
Sì assolutamente. Gli ho detto: “Così mi fai venire voglia di guardare quando presenti i Tony!”.

Ci sono sempre stati Ben Affleck e Rosamund Pike nel cast come Nick e Amy?
Non sono uno di quei registi che vede 5000 persone per ogni ruolo. E’ una cosa piuttosto stupida per me, che non mi piace fare. Tutte quelle chiacchiere sul casting interminabile di Uomini che Odiano le Donne. Sciocchezze dei giornalisti. C’è un vecchio adagio hollywoodiano che dice: “Giusto perché sarebbe un casting perfetto… questo non vuol dire che tu non lo debba fare”. Ben Affleck stava per iniziare un film da attore e regista e per un caso condividevamo molti membri delle rispettive troupe. Qualcuno a un certo punto mi dice: “Sai che Ben vorrebbe essere in Gone Girl?” E io: “Cosa? Ma se ha un film che gli sta partendo proprio ora?????”. Ci siamo incontrati ed effettivamente Ben mi dice che gli interesserebbe fare il film. Poi… il suo film si è bloccato e lui è venuto da me per dirmi: “Ok, sono pronto, lo faccio”. Con Rosamund avevo parlato solo su skype. Dopo ho chiamato il suo agente a Londra e gli ho detto che eravamo interessati a lei e volevamo che lei leggesse il libro ma che se l’avesse detto a qualcuno… l’avremmo scaricata subito. Ho incontrato Rosamund mentre cercavo le location e abbiamo fatto una cena di cinque ore.

Cinque ore???
Sì, cinque ore. La mattina dopo ho chiamato Ben. Lui non la conosceva personalmente, ma aveva apprezzato An Education (2009) e Orgoglio e Pregiudizio (2005) ma non aveva visto Jack Reacher (2012). Ben mi disse che le era piaciuta anche se non l’aveva molto impressionato. E’ proprio quello che a me piace di Rosamund. C’è sempre qualcosa di lei che ti sfugge, che ti lascia con un vuoto dentro. E’ difficile prevedere la sua età… proprio come in An Education. Ben mi ha detto di seguire il mio istinto e così l’abbiamo presa. Casting per me vuol dire stupire il pubblico. Potevo scegliere movie star, movie star, movie star e invece volevo che il pubblico pensasse… wow… Neil Patrick Harris in un ruolo così… incredibile!

Perché c’è una scena di sesso in cui tu non togli le mutande a un personaggio?
E’ stata una scelta.

Una scelta legata alla MPAA?
No. E’ stata una scelta legata al personaggio. Quel personaggio non voleva fare sesso in quella scena quindi ho pensato che potesse essere interessante che non togliesse gli slip. Aveva bisogno di altro in quella scena, non certo del sesso.

Ma così non rischi, facendo vedere solo uno dei personaggi che si toglie le mutande, di girare una scena un po’ fasulla?
No… perché si può fare sesso anche solo spostando parte degli slip e quindi anche se nell’inquadratura tu vedi dall’alto che sui fianchi rimangono addosso… in realtà la penetrazione può tranquillamente svolgersi perché sposti con le mani parte dell’indumento. Ma scusa… non mi dire che sono l’unica persona in questa stanza che nella realtà l’ha fatto. [Andrea Bedeschi annuisce e guardando il regista conferma di averlo fatto, ndr.] Tu non l’hai mai fatto? [rivolto a Francesco Alò, ndr]

No!
Non ci posso credere [ride parecchio, N.d.R.]

 


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Il romanzo è incentrato sulle vicende di un uomo la cui moglie scompare il giorno del quinto anniversario di matrimonio: tutte le prove portano a lui come omicida. La pellicola uscirà il 3 ottobre 2014 negli USA. Nel cast anche Rosamund Pike, Tyler Perry e Neil Patrick Harris.