Scozzese, ex studente di arte, musicista, cortista premiato al Bafta (Pitch Black Heist nel 2011) e ora esordiente nel lungo con un surreale western “coeniano” che sta già facendo parlare molto di sé: Slow West con un eccellente Michael Fassbender e un emozionante Kodi Smit-McPhee.

Sono rispettivamente il bounty killer taciturno Silas e l’estroverso sedicenne scozzese Jay protagonisti di questa folgorante commedia western girata in Nuova Zelanda in cui il bounty killer esperto e il ragazzino sognatore attraversano un Nordamerica di fine ‘800 assurdo e violento. BadTaste.it ha avuto la possibilità di chiacchierare al Bif&st 2015 con questo promettente regista europeo sulla cresta dell’onda. Siamo partiti dall’uomo che l’ha aiutato non poco per la nascita del progetto anche grazie al “credit” di produttore.

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Quanto ti ha aiutato Fassbender nella produzione del film?
Molto. Prima avevo fatto già due corti con lui e avevamo un rapporto di profonda sintonia e collaborazione. Come produttore mi ha aiutato a trovare i finanziamenti. Inutile nasconderlo. Nel momento in cui ha ufficializzato il suo coinvolgimento nel film… sono arrivati i soldi. Questo mi ha dato la liberà di scrivere la sceneggiatura che avevo in mente e soprattutto… ho sempre lavorato al personaggio di Silas sapendo che l’avrebbe interpretato Michael.

E come attore ormai molto esperto quanto ti ha aiutato?
Enormemente. Ho imparato che anche in campo largo o in un piano più stretto che tu a occhio nudo non puoi analizzare nel dettaglio perché sei lontano dall’azione della scena… Michael fa piccolissime cose molto interessanti e sofisticate che arricchiscono il personaggio. Una volta al montaggio la sua prova era una scoperta continua per noi che non avevamo afferrato pienamente quanto fosse stato brillante sul set.

Il film mi ha ricordato molto Scusi, dov’è il West? (1979) di Robert Aldrich. Era un punto di riferimento?
No! Non l’ho mai visto!

Non ci posso credere. Ci sono Harrison Ford e Gene Wilder che sono già una strana coppia western come Silas e Jay…
Aspetta che mi scrivo il titolo (Maclean prende carta e penna e si scrive effettivamente il titolo originale su un foglietto: The Frisco Kid, N.d.R.) e appena torno a casa compro un dvd e me lo vedo subito. E’ proprio il caso di dire… nell’arte ormai nulla è più originale.

Perché hai realizzato una storia su un europeo nel West? Perché questo bisogno di raccontare noi europei nel West degli Stati Uniti?
Tra i 21 e 22 anni ho passato alcuni mesi negli Stati Uniti con degli amici passando di città in città e posso dire che ho fatto il giro di quasi tutto quello sconfinato paese. Tutti i personaggi che incontravo avevano delle radici europee. Scozzesi come me oppure irlandesi, scandinavi, tedeschi come in quasi tutto il Texas. Ho cominciato a leggere del West ma in chiave realistica. Mi sono documentato attraverso dei testi scritti durante quel periodo intorno alla fine del 1800. Allora ho deciso di fare un film sul West da un punto di vista molto europeo. L’America è il miglior paese al mondo dove viaggiare.

L’America, se la percorri, ricorda veramente un film americano. Come filmmaker hai sentito l’impatto del suo cielo e del suo orizzonte lontanissimo?
Sì. Ho fatto campeggio in America e sono stato nei ranch. Stavo con i cowboy e loro avevano sempre la testa rivolta verso l’alto. Verso il cielo. Allora ho pensato… ma perché nei western classici non ci sono mai inquadrature di persone che guardano verso il cielo? Volevo che il paesaggio fosse un personaggio. Un personaggio enfatizzato anche troppo da Jay, il quale non fa altro che osservarlo e glorificarlo con le sue parole, e invece totalmente sottovalutato da Silas, il quale osserva il paesaggio solo per capire da dove arriverà il prossimo pericolo.

La scelta della Nuova Zelanda come luogo delle riprese è voluta o solo motivata da ragioni produttive?
E’ voluta. Non volevo girare nella Death Valley o Monument Valley perché sono troppo viste e cinematograficamente usurate. Per tornare alla fascinazione del paesaggio nordamericano… solo il Colorado ne ha tantissimi diversi ed è anche più grande di tutta l’Inghilterra messa insieme. Impressionante.

Una delle cose che differenziano di più voi registi anglosassoni dai nostri registi italiani, o anche latini in generale, è lo sguardo critico nei confronti dei protagonisti dei film. Possiamo dire che tu odi abbastanza Jay? E possiamo dire che quella gag con il sale… è veramente cattiva? E infine… possiamo dire che Jay per te è un cretino?
Sì. Possiamo dire tutte queste cose. Proviamo ad essere gentili con Jay usando di più il termine… fuorviato o ingenuo. Non so bene perché mi sono accanito così tanto nei suoi confronti. Forse… c’è da dire che su di me hanno molta influenza un certo tipo di produzioni americane in cui il protagonista viene colpito da molte disgrazie. Colpito e colpito e colpito più volte. E’ una cosa che mi piace. Per quanto riguarda la faccenda del sale… quella scena volevo che fosse divertente ma anche crudele. Volevo che gli spettatori provassero pena per Jay.

Lo sai che c’è un’inquadratura dell’entrata di una foresta maledetta nel tuo film che mi ha ricordato molto una stessa inquadratura de Il Signore degli Anelli? Non è che le maestranze neozelandesi portano le produzioni a girare in alcuni luoghi che ormai sono stati scelti come perfetti per alcune inquadrature?
Può essere. Non ci ho pensato francamente. Comunque… per tornare alle citazioni non consce come Scusi, dov’è il West? di Aldrich… allora devo dirti che al montaggio mi sono reso conto che la scena che ho girato in cui qualcuno viene trafitto alla mano da una freccia somigliava tantissimo a una stessa sequenza in Robin Hood – Principe dei Ladri (1991) di Kevin Reynolds. Quando ho rivisto il film di Reynolds ho pensato: “Oh mio dio che vergogna!”. Il mio problema forse è che ho visto così tanti film… che forse li ho immagazzinati così bene nella mia mente che li cito senza volerlo.

Il film è andato alla grande al Sundance 2015 e ora il tuo nome non è più quello di uno sconosciuto. Cosa farai adesso?
Devo tornare a scrivere una bella sceneggiatura. Il che vuol dire: caffè, case disordinate, confusione, molte ore davanti al computer. Non è molto glamour.

Dove vivi?
South London.

Niente idea di trasferimento negli Usa?
Per ora no. Londra è una città affascinante e per ora non ho la necessità di andare negli States. A Londra ci sono i miei amici e sono felice.

La carriera può prendere il volo negli Stati Uniti?
Non lo so. Fino a quando posso lavorare con persone che mi piacciono… quello è il massimo. Il mio gruppo di lavoro è in Inghilterra. Allo stato attuale è così.

Che tipo di regista pensi di essere? E’ certamente inusuale per uno scozzese debuttare con un western surreale americano girato in Nuova Zelanda, non credi?
Sono un grande ammiratore dei Fratelli Coen, i quali riescono a lavorare a tanti genere di film diversi ogni volta. Tutto deve essere molto aperto quando mi accingerò a scrivere la mia prossima sceneggiatura. Potrebbe essere una commedia, un melodramma ambientato in Italia… non lo so. Io amo il cinema e tanti tipi di film diversi. Penso che il vantaggio di aver diretto Slow West sia stato quello di non avermi già perfettamente definito come regista. Significa che voglio sempre sorprendere lo spettatore.

La prima cotta pesante cinematografica?
Mean Streets (1973)… forse… quando ero uno studente. No… aspetta! E’ Trappola di cristallo! Quando l’ho visto per la prima volta ho pensato… che capolavoro! Tutti i miei amici dell’epoca amavano film d’autore come la Trilogia dei colori di Kieslowski. Io invece adoravo Predator (1987) e Trappola di cristallo (1988)! Mi guardavano malissimo. Non mi sono mai considerato per questo un cinefilo tradizionale. Mi sono sentito sempre un po’ una pecora nera. Devo dire che un altro film importante per la mia vita è Le iene (1992) di Quentin Tarantino. Quel film mi aprì la mente e mi accorsi che lui amava gli stessi film che amavo io. Poi con gli anni… mi sono riavvicinato anche al cinema europeo.

Ultima domanda: la tua scena preferita del tuo Slow West?
Mmm… forse quando Jay finisce nell’accampamento sbagliato e comincia a sentire tutte quelle storie strane incorniciate dentro altre storie. Ti dico questo perché se proprio dovessi trovare una descrizione appropriata per Slow West… direi che è un film sul raccontare storie. E quella scena, da questo punto di vista, è assolutamente emblematica.