La cosa più bella che ha creato internet è il cinema fatto in casa, la possibilità cioè di distribuire e da qualche anno anche finanziare idee e progetti che sono più artigianali che professionali (anche se poi il prodotto finale non è amatoriale) basati su idee fuoriuscite più facilmente da una serata alcolica tra amici che da un brainstorming. Film lunghi, corti o medi che sviluppano altre idee nate e fiorite all’interno di internet a beneficio di un pubblico che poi è quello di internet stesso. Video incomprensibili a chi non abbia bazzicato la rete in questi anni.

Kung Fury è pronto, finito e postato sul canale di LaserUnicorns. È almeno un anno che se ne parla, da quando uscì quel primo trailer utile alla campagna Kickstarter. Nel frattempo David Sandberg ha raccolto 3 volte la cifra chiesta (non 200.000$, che già erano molti, ma più di 600.000), girato, montato e soprattutto postprodotto questa follia vintage, piena di nazisti, vichinghi, dinosauri e arti marziali. Tutto in stile fine anni ‘80, in estetica 16bit 8 bit.

Girato con un abuso di greenscreen tale da diventare segno di stile, e pensato per non avere senso se non quello dell’arricchire quei 30 minuti di ogni possibile dettaglio da fan service mostrato nel trailer, Kung Fury non è poi così lontano da Iron Sky ma ha il beneficio di durare meno, dunque non arriva a stufare, si ferma prima.

 

 

Con una canzone (e un videoclip) di David Hasselhoff in pieno stile e qualche dettaglio ad impreziosire, Kung Fury ha la particolarità di essere un delirio finanziato dal pubblico, il quale sapeva bene che sarebbe stato un delirio. Nessuno di quelli che ha dato 5$ come qualche migliaio (ce ne sono stati), pensava che il risultato finale sarebbe stato qualcosa di diverso dal piccolo divertimento tra amici allargati (quelli di internet) che è, eppure è arrivato a 600.000$. Esiste online un desiderio e una voglia di contenuti autoriferiti, che propaghino le piccolo mitologie della rete (il dinosauro con le braccia piccole che non riesce a fare niente) che impressiona. Quella che quasi 10 anni fa venive definita come l’autoreferenzialità della blogosfera, oggi è diventata un’autoreferenzialità di massa, finanziata e prodotta con (quasi) tutti i crismi.

Chi sceglie di uscire su YouTube invece che da altre parti cerca ad oggi solo una vetrina, del resto non pochi registi sono stati promossi a film di primo piano partendo da corti sbattuti online. Kung Fury non è altro che questo, la possibilità per un regista e una produzione svedesi di mettersi in luce cavalcando il desiderio comune di un pubblico geek così vasto che in meno di 24 ore le visualizzazioni sono oltre i due milioni.
Di fatto produzioni come Kung Fury (non è la prima, non sarà l’ultima) segnano l’esistenza di un nuovo genere, che si abbevera da quei contenuti nati online (i meme), li aggrega in una storia cavalcando lo stile che di volta in volta va più di moda (in questo caso il vintage da fine anni ‘80, tra qualche anno probabilmente sarà quello pienamente anni ‘90) a beneficio di una riconoscibilità “di gruppo”. Kung fury, ovunque e comunque lo si veda, è evidentemente una stramberia da internet, una produzione mordi e fuggi senza nessuna ambizione di “rimanere” ma fatta per esistere ed essere vista per poco tempo.

La parte più bella di tutta questa storia è come effettivamente la rete riesca a generare dei prodotti divertenti e ben fatti interamente al suo interno, la parte peggiore è che quasi mai si tratta di produzioni pensate per rimanere, buone per essere viste anche tra qualche anno. Ad oggi qualsiasi contenuto di internet (e l’audiovisivo è solo uno tra molti) è pensato per il momento, per cavalcare argomento, stile o fissa momentanea senza alcuna profondità. Non è l’umorismo cretino (che anzi lo rende speciale) ma la mancanza di universalità a favore di una particolarità esagerate ad avvicinare imprese come quella di Kung Fury più ad instant movie come Feisbum (esiste, ed è italiano) che altro.