Qualcuno lo cominciò a distinguere in Ali G (2002).

Altri si innamorarono di lui in Italia grazie all’attore porno oscenamente sensibile e gentile di Love Actually (2003). Poi Martin Freeman ha trovato l’anello del potere e in pochi anni è arrivato alla fama interplanetaria. Mentre The Office arrivava da noi via satellite (e all’epoca era molto meno diffuso) nel lontano 2004 su Canal Jimmy, Freeman entrava nella sua prima saga sui generis come la Trilogia del Cornetto con L’Alba dei Morti Dementi (2004), Hot Fuzz (2007) e La Fine del Mondo (2013). Un comico buono alla Michael Palin? Il perfetto inglese della porta accanto come l’Arthur Dent di Guida Galattica per Autostoppisti (2005)? Quando sembrava tutto chiaro ecco intervenire una certa nuova Trilogia a tema hobbit che ci fa conoscere l’aspetto epico di Mr. Freeman, una certa serie tv accanto a Sherlock Holmes che lo vede diventare glamour e un’altra produzione tv di qualità tratta da un capolavoro dei Fratelli Coen che ci fa conoscere il lato più drammatico e pericoloso della sua arte recitativa.

Dopo Mark Ruffalo, adesso tocca a Martin Freeman incontrare il giovane pubblico festivaliero di Giffoni Experience 2015. Questo è il resoconto della conferenza stampa del quarantaquattrenne attore inglese.

Prima impressione di Giffoni Experience 2015?

Può essere giusto una prima impressione perché sono appena arrivato. Adoro l’Italia… fa molto caldo, mi piacciono questi giovani appassionati di cinema e il cibo è meraviglioso.

Di Fun House di Glenn Ficarra e John Requa che cosa ci può dire?

Ci sono stati tanti titoli. Uno era addirittura Taliban Shuffle. Ora si intitola Fun House e mi hanno detto che è un commedia. Ancora non l’ho visto. Dovrebbe essere di fondo una commedia mentre alcune cose sono dark e serie. Non riguarda la guerra in Afghanistan in sé ma la vita di alcuni giornalisti in Afghanistan durante i primi anni della Guerra al regime talebano nel 2002.

Le manca qualcosa dopo tutti gli obiettivi raggiunti negli ultimi anni. Prossimo scopo?

Nessuno. No scherzo… c’è sempre qualcosa di nuovo da raggiungere. Non dovete pensare che un attore partecipi a un franchise per interesse (si riferisce ovviamente ai tre Lo Hobbit, N.d.R.). Se sei un attore non lo vedi come franchise ma come una storia. La mia vera gioia è leggere una sceneggiatura inaspettata. Qualcosa che non ho mai recitato prima. Morirei per un buon copione.

Cosa ci può dire di Captain America: Civil War e del suo coinvolgimento nell’universo Marvel?

Ho girato già qualche giorno. Ho ancora due giorni di riprese. E’ una piccola parte. Dentro la cornice del film è un personaggio ambiguo che lavora per il governo americano e vuole tenere i supereroi sotto controllo. Non si sa se è un buono o un cattivo. Ed è un ruolo che dovrei continuare ad interpretare se non mi licenziano.

Cosa ci può dire dell’esperienza della serie tv Fargo?

La principale sfida o ostacolo era l’accento del Minnesota per il personaggio di Lester in Fargo. Se devo imparare un accento è sempre un lavoro che faccio con le mie orecchie e con la mia capacità di comprensione. Dopo due settimane sono entrato così dentro Lester che mi sono trovato a mio agio. Lo capivo… anche se non ho mai progettato di uccidere mia moglie.

La metteva in difficoltà affrontare il personaggio di John Watson per la serie tv Sherlock?

Spaventato? Mai. La sceneggiatura era troppo bella. Hanno reso John Watson un coprotagonista accanto a Sherlock Holmes. Non è mai la sua ombra. Lo so che Sherlock è la star dello show… ma John è una costar. Mark Gatiss e Steven Moffat hanno realizzato uno show veramente interessante, fresco e originale… con tutto il rispetto per Arthur Conan Doyle.

Che cosa pensa del cinema italiano?

Non lo conosco bene. Quando penso al cinema italiano… penso al 1959. Sono legato a quell’estetica lì. Anche quando cammino per Soho a Londra oggi… ogni tanto ripenso all’Italia del 1959 quando vedo giacche attillate e gente sulla vespa. C’è un’estetica italiana che mi attrae molto ed è legata agli anni ’60.

 

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