Grazie al cielo ci sono la Cineteca Nazionale e CinemaZero.

Da questi due enti che lavorano sul restauro, la conservazione e la ricostruzione dei film è venuta la preapertura che ieri sera ha dato il calcio d’inizio non ufficiale (quello ufficiale è stasera con Everest) alla 72esima edizione della Mostra. Per il secondo anno di seguito Barbera ha scelto dunque di spostare questo rito che prima si svolgeva lontano dal Lido, cioè a Venezia ed era riservato alla città, nei medesimi luoghi in cui vengono visti gli altri film, di fatto aprendolo anche alla stampa. L’anno scorso avevamo visto una magnifica versione di Maciste Alpino con colonna sonora dal vivo e quest’anno è toccato a due film veneziani di Orson Welles, uno dei quali creduto perduto e invece recuperato e ricostruito con ago e filo.

Una serata di cinefilia hardcore prima che tutto abbia inizio, lontanissima dal glamour (per quanto la notizia del recupero abbia fatto in fretta il giro del mondo) e vicinissima alla storia del cinema.

Il Mercante di Venezia

Si tratta di un lavoro televisivo commissionato a Welles nel 1969 dalla CBS, i cui fondi furono presto tagliati e che il regista tentò di finire in proprio ma che alla fine non fu mai completato, quel poco che ce ne rimane era sparso in diversi paesi, alcune bobine perse, il finale mai girato e addirittura a tutta una parte manca totalmente la colonna audio. Nondimeno il poco che avevamo era straordinario. Welles stesso interpreta Shylock nei veri ambienti veneziani, tentando di rileggerne la figura con una compassione diversa da quella cui siamo abituati.

CinemaZero è riuscito in diversi anni e collaborando con il FilmMuseum di Monaco a rimettere insieme i pezzi, raccattare letteralmente le diverse bobine, metterle insieme e grazie alla partitura originale della colonna sonora scritta da Lavagnini (e suonata una sola volta fino a ieri sera, quando la sua esecuzione ha aperto la serata), nonchè al ritrovamento dello script originale negli archivi dell’Università del Michigan, ricostruire la trama come doveva essere, le scene come andavano montate. Al problema della mancanza dell’audio per ampi tratti si è ovviato con una registrazione di una versione del Mercante di Venezia per la radio di quasi 30 anni precedente, realizzata dallo stesso Welles ma con altri attori nei ruoli comprimari. I dialoghi sono pressocchè identici e, benchè la sincronia totale con le immagini sia impossibile, la forzatura assolve al compito.
Il risultato è un non-film privo del finale, assemblato a posteriori con tutta la precarietà del caso ma in grado di spiegare e rendere benissimo quali fossero le idee dietro l’impresa, quale spirito la animasse e che uso Welles volesse fare del materiale e degli ambienti, non più quello espressionista dell’Otello (di una 15ina d’anni antecendente) ma uno più gretto e realista, più plumbeo e disperato. In una parola più adatto alla terribile malinconia veneziana.

La qualità delle immagini era pessima ma è stata rimessa in pista dal FilmMuseum di Monaco, in certi punti ancora se ne risente ma sostanzialmente la visione colorata del carnevale veneziano (con alcune immagini che non nascondono la loro modernità) è coerente con la filmografia wellesiana e al titanismo di altri adattamenti shakespeariani del grande autore americano sostituisce una malinconia crepuscolare perfetta. In alcuni punti il gigantesco Orson, inquadrato da lontano negli ampi ambienti vuoti dei saloni tipici dei palazzi veneziani sembra una chioccia, una piccola catasta d’abiti che si muove.

 

 

L’Otello

Benchè non si tratti di un’opera perduta, anzi di una molto famosa (vincitrice della Palma D’Oro a Cannes), lo stesso la versione vista ieri sera è abbastanza rara. Si tratta di quella italiana, il cui doppiaggio fu supervisionato dallo stesso Welles, che doveva essere l’originale. Il film infatti era in parola per partecipare alla Mostra di quell’anno ma all’ultimo fu ritirato perchè non pronto. Diversi mesi dopo fu presentato a Cannes, doppiato in inglese e con 6 minuti di meno. Il montaggio visto ieri sera dunque non solo è un po’ più lungo ma preserva l’originalità della visione italiana di quel film che doveva essere italiano (e anch’esso ampiamente girato a Venezia). Bellissimo come chiunque l’abbia visto può ricordarlo (con in più il beneficio di essere stato restaurato qualche anno fa), l’Otello di Welles italiano ha una chiarezza di dialoghi rara per le trasposizioni shakespeariane (se ne occupò Gian Gaspare Napolitano) e il regista-attore protagonista è doppiato da Gino Cervi.

 

https://www.youtube.com/watch?v=armsZCw41I4

 

Sono due film molto lontani non solo per tempistiche ma anche per rapporto con l’originale. Otello è (a suo modo!) fedele all’opera e vuole esagerare nell’impianto visivo mostruoso (ma come sappiamo anche frutto di infiniti travagli produttivi e incredibli astuzie), mentre il Mercante di Venezia è evidentemente un film posteriore a Falstaff, che desidera appropriarsi del testo, piegarlo e distorcerlo perchè assuma un’altra forma e metta in evidenza qualcos’altro. Spesso si è detto di come Welles abbia approcciato personaggi diversi in età differenti, come se li sentisse vicini solo in certi momenti della propria vità, dalla visione giustapposta di un’opera girata a 54 anni e una girata a 35 questo è ancora più evidente. Dalla passione folle ed esagerata che distorce le immagini, aumenta le ombre, enfatizza i primi piani e le inquadrature sghembe, fino alla rassegnazione, alla fredda vendetta consumata in piani lunghi e con grande economia di movimenti che però necessita di distorcere questa volta il testo.

SPECIALE FESTIVAL DI VENEZIA

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