Che qualcosa stesse accadendo in seno alla Marvel, alla Disney e ai Marvel Studios era chiaro, palese.

Le battutine e frecciatine di Joss Whedon durante la promozione stampa di Avengers: Age of Ultron, le dichiarazioni di un sempre sorridente Kevin Feige che, di tanto in tanto, non mancava di sottolineare “Ragazzi, voi della stampa pensate che sia io a prendere tutte le decisioni in merito ai nostri film, ma non è così”.

Gli incassi del secondo Avengers prima e la buona riuscita di Ant-Man poi parevano aver riportato una certa quiete, insieme ai festeggiamenti per il ritorno del “figliol prodigo” Peter Parker in seno alla divisione cinematografica della Casa delle Idee.

Evidentemente, non era davvero così e gli accadimenti di questi giorni ce lo hanno ricordato.

Prima è arrivata la notizia che i Marvel Studios, d’ora in poi, risponderanno direttamente al CEO della Disney, Alan Horn e non a Isaac “Ike” Perlmutter, CEO di Marvel Entertainment, poi quella – ancora ufficiosa – che il think tank formato, fra gli altri, da artisti e dirigenti Marvel quali Alan Fine, Brian Michael Bendis, Dan Buckley e Joe Quesada, sarebbe stato smantellato, e che le decisioni sui film dello studio sarebbero ora in capo al già citato Feige e ai filmmaker ingaggiati di volta in volta per lavorare alle varie pellicole (con un piglio che, ironicamente, finisce per ricordare quello della rivale Warner).

L’Hollywood Reporter e Bleeding Cool hanno scavato più a fondo nella storia di questo “divorzio interno” e hanno diffuso dei particolari aggiuntivi relativi a questo percorso di “emancipazione”.

Cominciamo dal secondo. Il sito britannico sostiene che l’allontanamento di Feige da Perlmutter sarebbe stato “facilitato” dal fatto che Avengers: Age of Ultron sia stato considerato una specie di “fallimento” da parte della Disney.

Delimitiamo i confini del termine virgolettato che abbiamo impiegato.

Con 1.4 miliardi di dollari incassati al box office, la pellicola di Joss Whedon è tutto fuorché un flop. Anche considerando una spesa di P&A di 150 milioni di dollari, da aggiungere al budget di circa 250, i conti sono decisamente in attivo. Eppure, stiamo parlando del sequel di un film che, prima del trionfo di Jurassic World, occupava saldamente la terza posizione nella classifica dei maggiori incassi cinematografici di sempre. Un blockbuster il cui tracking era più in linea con Avatar, un kolossal supereroistico che pareva destinato a una performance nettamente superiore al capitolo che lo aveva preceduto e che invece, alla fine, è stato battuto anch’esso da un titolo Universal, ovvero Fast & Furious 7. E, per quanto le critiche di noi imbrattacarte tendano a lasciare il tempo che trovano di fronte a quell’entità chiamata Box Office, anche il tiepido apprezzamento da parte della stampa, specie se paragonato al primo Avengers, non ha allietato gli umori negli uffici della Casa di Topolino.

Ma non finisce qui.

In una congiuntura quasi ironica considerato il titolo e il tema del film, un ruolo determinante è stato anche quello del budget di Captain America: Civil War in cui, da una parte, c’era un Ike Perlmutter intenzionato a tenere basse le spese, dall’altra un Kevin Feige deciso ad avere tutte le risorse necessarie per dare forma a un film ricco di star e, presumibilmente, “set pieces”.

Kevin Feige avrebbe messo la Disney di fronte al seguente “aut aut”: o mi date la libertà decisionale e i quattrini che richiedo oppure me ne vado. La domanda retorica che si pone un insider dalle pagine del THR appare smaccatamente logica: “New York (la Marvel Entertainment, che ha sede appunto a NY, ndr.),per lungo tempo, ha avuto voce in capitolo, ma Kevin non si è guadagnato il diritto di dire la sua? Perché deve rendere conto a un uomo di 72 anni che neanche si occupa di fare film? Kevin ha fatto fare miliardi alla Disney”. La major pare aver scelto di conseguenza.

Gli effetti dello scossone in ambito cinematografico (in quello televisivo sarà ancora la Marvel Entertainment a dettare legge) non sono chiari. Più che altro perché, malgrado tutto, la formula dell’UCM è risultata vincente finora. C’è chi presume che l’effetto più marcato si avrà nella gestione dei rapporti con i talent, notoriamente vincolati da accordi particolarmente stringenti dal punto di vista economico (con la sostanziale sola eccezione di Robert Downey Jr., che comunque come noto, ha rischiato di non partecipare a Civil War).

Noi, dal canto nostro, continueremo a tenervi aggiornati sulla questione…

 

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