Articolo a cura di Lorenzo Bianchi – Foto a cura di Rolando Danesi

Uno degli ospiti più prestigiosi dell’appena conclusa Lucca Comics and Games 2015 è stato il cineasta Mamoru Oshii, tra i più importanti esponenti dell’animazione giapponese nonché regista del cult fantascientifico Ghost in the Shell, da oltre vent’anni fonte d’ispirazione per moltissimi autori occidentali, dai Wachowski a Joss Whedon fino addirittura a Steven Spielberg. Durante il corso della manifestazione, il maestro ha presentato ai fan italiani Garm Wars: L’Ultimo Druido, il suo primo progetto live action in lingua inglese, che vede tra i protagonisti gli attori Kevin Durand e Lance Henricksen, il celebre Bishop della saga Alien. Prima della proiezione, abbiamo avuto modo di scambiare due parole con il regista, che ci ha raccontato la genesi di questa sua ultima fatica e ci ha parlato del suo rapporto con i fumetti.

Ci troviamo a Lucca Comics and Games, una delle convention di genere più importanti al mondo. So che è sempre stato un grande appassionato di fumetti, prima come lettore e successivamente anche come autore, quindi mi chiedevo se nonostante i suoi numerosi impegni, riuscisse ancora a trovare il tempo di leggerli.

Mamoru Oshii: Sì, ho sempre amato i fumetti, in passato ne divoravo a centinaia, ma da dieci anni a questa parte ho smesso completamente di leggerli. La tua domanda mi ha fatto tornare alla mente il periodo in cui i manga non riuscivano più a soddisfarmi, li trovavo monotoni e ripetitivi, così cominciai ad ampliare i miei orizzonti all’estero, cercando qualcosa di interessante durante i miei viaggi in giro per il mondo. Non solo fumetti, anche illustrazioni, paesaggi, dipinti: se riuscivano a mettere in moto la mia immaginazione, valevano la pena di essere acquistati. Questa mia ricerca non ha però portato grossi frutti, quindi ho spostato la mia attenzione più verso la lettura di libri e romanzi. Mi dispiace non riuscire più a trovare uno stile innovativo, fresco, come quello di Katsuya Terada, un illustratore davvero notevole. Purtroppo oggigiorno siamo circondati quasi solamente da rivisitazioni di un qualcosa già realizzato in passato.

C’è qualche autore occidentale che ha maggiormente ispirato il suo immaginario?

M.: Uno dei disegnatori che in passato più mi ha colpito è stato Moebius, che nell’ambito dell’animazione giapponese è uno dei più apprezzati e famosi tra quelli occidentali. Anche nel mio ultimo lungometraggio si possono riscontrare alcuni echi del suo lavoro.

Parliamo proprio di Garm Wars: L’Ultimo Druido, che i fan italiani potranno vedere in anteprima nazionale proprio qui a Lucca. Cosa può dirci circa la genesi del progetto?

M.: Il progetto è nato circa quindici anni fa, quando mi fu chiesto di realizzare una pellicola dallo stile visivo innovativo, qualcosa che fosse tecnicamente diverso e moderno rispetto ai prodotti dell’epoca. Venne addirittura creato uno studio di produzione apposito, in cui lavorarono animatori, scenografi, esperti di grafica computerizzata e tutte le altre figure chiave che un film del genere richiede. Purtroppo, le condizioni economiche in Giappone cambiarono rapidamente, scoppiò la bolla speculativa e lo studio venne chiuso senza poter realizzare nessun prodotto. Questo però non deve per forza essere visto solo come una nota negativa, poiché mettendo a frutto le conoscenze sviluppate in quei tre anni è stato possibile realizzare molte delle pellicole uscite nell’ultimo decennio, che altrimenti non avrebbero visto la luce. La tecnologia può sembrare un progetto in continua evoluzione, ma in realtà ha un periodo di grande sviluppo seguito da un lungo lasso di tempo in cui si vive sulla scia di queste nuove scoperte, e così è stato in questo caso. Anche se non è nata subito una pellicola, il fermento scaturito da quell’esperienza mi ha permesso di migliorare le mie tecniche di regia e di dar vita, oggi, a un prodotto altamente innovativo come Garm Wars: L’Ultimo Druido.

 

Master Class con Mamoru Oshii

 

Venerdì 30 ottobre abbiamo poi preso parte all’esclusiva master class con il regista, che a regalato a trenta fortunati l’occasione di assistere a un dibattito sulla sua carriera, a cui è intervenuto anche il fumettista Lorenzo Ceccotti, in arte LRNZ.

Oshii ha inizialmente parlato di uno dei temi che più ricorre nelle sue opere, quello del dualismo tra realtà e finzione. Quest’ultima, sopratutto nel campo dell’animazione, è inevitabile, ma in questo caso da maggiormente la possibilità di far rendere consapevole lo spettatore che quella che ha davanti è una realtà immaginaria, diversa ma pur sempre una realtà. Il compito di un regista è infatti quello di creare un’ambientazione che possa permettere di rappresentare questa realtà, fissando e mantenendo un livello di realismo per tutta la durata della pellicola.
È stato poi analizzato il rapporto tra cinema e live action nella sua filmografia, che il cineasta giapponese vede come un vero e proprio cambio di stile di vita oltre che di tempistiche. Nel caso dell’animazione, si tratta di svegliarsi tutte le mattine a orario d’ufficio, recarsi allo studio di produzione del film e collaborare con lo staff per controllare costantemente che quello a cui si sta lavorando non fuoriesca dai binari prestabiliti. Invece, per quanto riguarda le pellicole in live action, il tempo è molto più limitato, in pochi mesi si deve girare tutto il film, e occorre prendere decisioni istantanee per portare a casa il maggior numero di scene possibili. Oshii si è soffermanto anche sul rapporto con i suoi collaboratori, verso cui nutre dei sentimenti contrastanti di odio/amore, ben descritti nel suo Talking Head del 1992, attualmente inedito in Italia.
Sul finire del dibattito, al regista giapponese è stato chiesto il motivo dell’inserimento di alcuni elementi ricorrenti, come il celebre cane bassotto, all’interno delle sue opere. Il cineasta ha risposto dicendo che alcuni  vengono inseriti in maniera volontaria, con coscienza di causa, mentre altri sono spontanei, involontari.

Anche in questa occasione, noi di BadTaste.it siamo riusciti a porgere una domanda al maestro:

Con i cinecomic in testa al box office, i cineasti americani sembrano sempre più interessati a trasporre sul grande schermo opere derivate anche da prodotti orientali, come da manga e anime. Negli ultimi anni si sono più volte rincorse voci di possibili adattamenti di opere quali Akira e Ghost In The Shell, quest’ultimo attualmente in produzione e fissato per il 2017. Cosa si può guadagnare e cosa si rischia di perdere dall’occidentalizzazione di prodotti orientali? Qual’è la sua idea al riguardo?

M.: Penso che la questione dei remake sia soprattuto un fatto pratico ed economico, in quanto creare un prodotto nuovo è molto più rischioso che riproporre qualcosa che ha già una base solida. Questo fenomeno è molto diffuso anche in Giappone oltre che in occidente, dove i remake e i sequel dei film sono molto numerosi. Ad oggi, per quanto riguarda la situazione americana, a fare i film non sono i registi, gli ideatori dei film, ma gli avvocati e le persone che hanno fondi da investire e che non possono permettersi di prendere dei rischi inutili. Personalmente, avendo anche lavorato in America, trovo il remake un procedimento senza il benché minimo senso, utile soltanto nel caso in cui venga realizzato per dare una nuova interpretazione all’opera di partenza. Una cose che però non succede molto spesso. Ci sono ovviamente generi, come la musica e la pittura, in cui il riprendere temi passati e riproporli è una cosa che è stata sempre fatta. Si possono per esempio guardare i dipinti religiosi alle mie spalle e capire che sono sempre i soliti soggetti, solo riproposti e rivisitati. Lo stesso avviene per la musica di Mozart, in cui in ogni sua esecuzione, la sinfonia acquisiva un significato diverso. C’è anche da aggiungere che la storia della musica e della pittura è millenaria, mentre quella del cinema ha circa un centinaio d’anni, troppo pochi per pensare a una reinterpretazione di quanto è già stato realizzato.

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