Sempre di più Jodie Foster sembra aver abbandonato la recitazione per diventare cineasta o produttrice, per fare i film invece che recitarci dentro e basta. Money Monster, in concorso a Cannes ma anche in uscita in Italia, è solo l’ultimo esempio. La storia di un conduttore televisivo che con il suo programma dà consigli di finanza, preso ostaggio da un uomo rovinato proprio da quei consigli, è un thriller vecchio stampo, inusuale per lei che aveva sempre fatto film personali, una svolta che la regista è la prima ad ammettere:

Questo film è un po’ un esperimento, un thriller per il grande pubblico con un passo svleto e tutto quello che serve per una grande distribuzione, eppure lo stesso è anche molto piccolo, delicato e personale, sembra un po’ un lavoro teatrale, uno in cui le donne sono molto in controllo della situazione. Di fatto è Julia Roberts a cambiare il personaggio di George Clooney. Questo dettaglio penso lo renda unico e particolare.

Preferisci fare la regista? Ti si vede sempre meno come attrice

Quando reciti sei una persona che viene usata, qualcun altro sceglie per te cosa sarà fatto. Sono lì fuori ma non sono in controllo di quelo che dico, vedo il potenziale e quel che si potrebbe fare ma non ho la carica per imporre la mia volontà. Spesso è davvero frustrante

Dal punto di vista dello storytelling per te qual è il segreto di Money Monster? Qual è quel dettaglio di racconto che tu sai essere in grado di fare la differenza?

È la relazione tra gli uomini e il fallimento, la maniera in cui lo vedono negli occhi delle donne che gli stanno accanto. Non so se dipende dal sesso ma io so che per me è così. Quella strana sensazione di fallimento che vogliamo allontanare ha a che vedere con i modelli che vogliamo imitare e pensiamo di non raggiungere.

Ora che hai fatto un thriller da grande pubblico pensi di essere pronta per un grande franchise?

Me l’hanno già offerto e ho rifiutato. Sono ok eh, ma ne vorrei vedere uno ogni tanto, non di continuo. Invece per questo motivo io, che sono una filmmaker, sto andando sempre meno al cinema. Quel franchise l’ho rifiutato perché non mi diceva niente, ma fosse stato Iron Man l’avrei preso. Quello mi piace, perchè capisci il personaggio attraverso la maniera in cui costruisce le armature, iniziano in una maniera e finiscono in un’altra, è grande narrazione.

Meglio la tv?

Le serie tv hanno ridato vita allo storytelling, è lì che accadono le cose eccitanti. La distribuzione del cinema invece è sempre più avversa al rischio, mettono tutte le loro speranze in franchise immensi. Mi piacerebbe fare la produzione esecutiva per una serie e magari dirigerne qualche episodio. Vorrei aiutare gli scrittori ad esprimersi e collaborare con loro.

Stai valutando dei progetti?

Sì.

Hai capito che tipo di serie vorresti?

Non vorrei un thriller, sicuramente mi piacerebbe di più lavorare ad un dramma con personaggi complicati, personaggi in crisi spirituale che vogliono capire chi sono e aggiustarsi.

Mi sembra più Mad Men che The Walking Dead…

Si decisamente, ma ancora di più vorrei avvicinarmi a Breaking Bad. Commedia e dramma insieme, personaggi che cambiano perché gli accade qualcosa che li scuote…

Fare questo film sull’opacità del mondo della finanza ha cambiato la maniera in cui investi?

Non è da oggi che mi interesso agli investimenti ma come viene detto già nel film l’importante è diversificare, investire poco in molte cose diverse. Nessuno ha mai detto che bisogna investire tutti i soldi in una sola azienda, quello è quello che fai al casinò e non ha senso. Ci sono maniera molto più sicure di investire anche se i margini di profitto non sono grandi, e questo è proprio quel che la gente non vuole, per questo rischiano. Io sono una buona capitalista e credo nel sistema, quello in cui non credo sono gli abusi.

 

 

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