I festival non rimangono mai fermi, si adattano, cambiano e cercano di rimanere attuali. Seguono i mutamenti di fruizione, di gusti del pubblico e di produzione, inglobano le serie tv, modificano o annullano i concorsi, cercano o non cercano le prime mondiali. Un direttore in tutto questo è la persona che si prende la responsabilità di capire quale modalità sia la migliore per fotografare lo stato dell’audiovisivo ogni anno.

Quest’anno Alberto Barbera, al suo ottavo programma di Venezia, ha cambiato molto. Alcuni mutamenti sono il risultato di anni di lavoro, altri li scopriamo ora, altri sono felici coincidenze. Di fatto però tutto avviene in quella che sulla carta si presenta come la migliore edizione da quando è tornato al timone della Mostra. Ma per lui è solo un caso.

 


Noi lavoriamo con quello che c’è in un certo momento, quest’anno c’era molto prodotto di qualità e pensa che per la prima volta abbiamo giocato a scartare.

Però voi avete assemblato il concorso così com’è.

Sì e non non so se sia equilibrato con le nazionalità. Ci sono 6 americani, 3 francesi, 3 italiani… Un po’ la fotografia del cinema di oggi, la grande qualità americana, sia d’autore che spettacolare, assieme alle cose più radicali come Lav Diaz che è arrivato tra gli ultimi, tardissimo.

Con un film di sole 4 ore!

Per i suoi standard è un cortometraggio…

Se c’è stato addirittura da scartare significa che avete avuto tutto quello che volevate?

Diciamo che i 3 film da Oscar in 3 anni consecutivi hanno aiutato. Siamo riusciti a riportare in auge la percezione che Venezia potrebbe essere l’avvio della campagna per gli Oscar, il trampolino per certi film. Senza contare che sono 5 anni che vado due volte l’anno a trovare tutti a Los Angeles e fargli una testa così. Ma comunque non sarebbe avvenuto non fosse stato per la coincidenza di questi tre film uno dopo l’altro agli Oscar, saremmo ancora a pregarli invece quest’anno alcune cose ce l’hanno proprio proposte loro. Avremo due film da Sony, due da Universal, poi la Lionsgate e la Disney [con The Light Between Oceans di Derek Cianfrance ndr], quando mai avevamo avuto contemporaneamente tutte queste major a Venezia? E solo per coincidenze non c’è la Warner, che poi è stata la major più regolare con la presenza al Lido. Volevamo il film di Clint Eastwood [Sully ndr] ma per ragioni puramente di marketing non ci sarà. Il punto è che già lui non va da nessuna parte, in più il film esce molto dopo in patria e Tom Hanks deve promuovere due film giganti che ha in uscita in quel periodo [tra cui Inferno di Ron Howard ndr] e quindi non ci sarebbe. Alla fine la Warner non aveva nessuno per la promozione e a questo punto non gli conviene venire. Quello è il rimpianto maggiore.

Dunque quest’anno qual è il film veneziano che finisce agli Oscar?

Bella domanda. Guarda che gli americani sono sempre imprevedibili, ci sorprendono continuamente. Io credo che uno che andrà agli Oscar sarà La La Land. Lui è un autore vero, di talento, è cinema nella grande tradizione del cinema classico americano, è un musical che sa innovare, è bellissimo e piace a tutti, trasversale, commovente ed emozionante. Poi ha due star che fanno cose pazzesche, come non se ne vedevano da tempo.

Da questa descrizione non mi pare un film da Concorso, invece sta là, come del resto state facendo accadere da qualche anno con scelte come quella di Philomena o Equals. State cercando di cambiare l’idea che abbiamo di concorso in un festival?

Un po’ sì. Oggi il cinema d’autore come lo intendevamo 20 anni fa non dico che non esista più, ma sicuramente è minoritario e fa grande fatica a sopravvivere. Cosa succede allora? A parte quelli che riescono a fare i film che vogliono con grande fatica, gli altri, in qualche modo, devono misurarsi con realtà produttive diverse e accettano magari di lavorare in strutture tradizionali.
Questa è la sfida del cinema d’autore di oggi, il mercato è più stretto e selettivo, più chiuso rispetto al cinema d’autore che una volta aveva il suo pubblico. Anche solo negli anni ‘90 i film di Kiarostami le distribuzioni se li litigavano. Non c’è stato ricambio, una volta i cinema d’essai erano tanti e ora faticano. Quando io vado in una sala d’essai sono il più giovane! Una volta c’erano i liceali accanto ai pensionati, ad un certo punto però questa catena si è interrotta. Dove sono i giovani? Non sanno che esiste questo cinema, vanno nei multiplex o non ci vanno proprio in sala, nessuno gli ha fatto apprezzare un altro tipo di film. Anche su piattaforma digitale non cercano il Kiarostami di oggi ma i film più grandi, non c’è ricambio. 
Dunque gli autori o si inventano modi acrobatici di fare film con difficoltà o li fanno dentro strutture più commerciali misurandosi con altre modalità narrative e noi cerchiamo di recepire questo cambiamento.

Era per questo che avevate pensato Il Cinema del Giardino? Film per tutti con un’anima d’autore?

Sì, volevo un cinema per tutti, proponendo quel tipo di cinema che al festival non ha spazio perché non è abbastanza autoriale eppure non è nemmeno banale, quel cinema che sopravvive a fatica perché ha meno spazi e sale.

Eppure è stato lei il primo a dire che come l’aveva pensato originariamente, cioè dedicato al cinema italiano, Il Cinema del Giardino è stato un fallimento, non l’ha potuto organizzare ed è diventato una sezione aperta anche agli stranieri. Esattamente qual era il problema?

Il problema era che quando proponevo il giardino ai film italiani si sentivano sminuiti, già si sentono sminuiti se non gli dò il concorso figuriamoci il giardino! Nel 90% dei casi quando ci parlo e provo a proporgli qualsiasi altra cosa mi dicono “Eh ma il concorso….”. Eppure poi lo dico a James Franco o a Kim Ki Duk e sono contenti! Ma anche Gabriele Muccino, che è stato il primo ad accettare.

Ha detto anche che vede più quantità che qualità nei film italiani. Forse però il comitato di selezione di Cannes non direbbe la stessa cosa…

Eh infatti voglion tutti andare lì e poi si scornano, fanno le corse per finire in tempo per Cannes anche se poi lì non gli va bene. Ma l’anno dopo non imparano. E magari non vale per altri che a Cannes preferiscono non andare per non essere stritolati da una macchina gigantesca. Io ho fatto litigate pazzesche con chi mi dice “Io comunque vado a Cannes, anche nell’ultima sezione perché Cannes mi dà…” sono più i venditori e produttori che i registi a dirlo.

Come vanno i rapporti con Toronto? Quest’anno a parte The Magnificent 7 non ci sarà nulla prima da loro e poi a Venezia, solo prima a Venezia e poi da loro…

Vanno meglio di prima, di certo meglio di due anni fa! Quello è stato il momento peggiore, quando Toronto aveva deciso di fare la guerra a tutti per le prime mondiali. A dire il vero ce l’avevano più con Telluride ma di riflesso ci siamo andati di mezzo noi. Poi credo abbiano capito che quello era più che altro un boomerang, hanno fatto un po’ di marcia indietro e inventato questa cosa dei 10-12 film in concorso per valorizzare il cinema d’autore più marginale. Ma mi pare che non se ne sia accorto nessuno che c’era un concorso. Sai loro hanno la tendenza a dire a qualsiasi film: “Se ci date la prima mondiale vi daremo slot migliori.

E voi non lo fate?

Noi abbiamo il vantaggio di venire prima, all’inizio della stagione, con Cannes ormai passato, e siamo concomitanti con Telluride che però ha una selezione così limitata che al massimo condividiamo 2-3 film, che però facciamo nei primi giorni e poi vanno lì e tutti sono contenti. Rispetto a Toronto, il problema è che loro iniziano quando noi finiamo e i film più belli o almeno una parte prima vengono da noi e poi magari provano ad andare da loro”.
Ma non fate di tutto per avere prime mondiali? Non so nemmeno quante siano quest’anno, in cartella stampa mancava il numero totale…

È perché sono tutte prime mondiali. Tutte tranne 4 film: Pets, perché è un omaggio a Meledandri, quello di Tim Sutton [Dark Night ndr] che è un nostro di Biennale College passato con successo al Sundance e ci faceva piacere, I Magnifici 7 che va prima a Toronto e l’iraniano Malaria. Ma tutti gli altri sono prime.

Se non sbaglio è la prima volta nella sua gestione?

Sì.

Per come funziona la comunicazione oggi avere una prima mondiale è più o meno importante di prima?

Secondo me la prima mondiale è un falso problema, un cerotto messo per coprire altro. Tanto è vero che sempre meno si insiste su questo dettaglio, io stesso non l’ho voluto mettere in cartella stampa. Primo perché lo sono, secondo perché non dobbiamo dirlo per forza, è ridicolo è un segno di debolezza e non di forza. Tanto è vero che un po’ tutti hanno smesso di porci enfasi. Tanto l’uscita dei film è legata a scadenze che non sono quelle dei festival, sono determinate dalle scelte di marketing e distribuzione, nessuno fa i calendari sui grandi festival come 20-30 anni fa. Oggi non è più così, oggi si decide in base all’uscita, allora che senso ha dire di essere arrivato prima? Non siamo noi a scegliere i film, son loro che scelgono noi in base all’uscita. I film venuti a Venezia negli ultimi anni sono tutti film che in America sono usciti a Settembre o fine Ottobre. Poi io magari li rifiuto eh, ma il campo in cui scegliere è quello.

Non siete interessati ad avere film da tutto il mondo, così da rappresentare un po’ tutti i paesi? Insomma non vi interessa quella che, senza stare troppo a girarci intorno, era una componente importante per Mueller?

Assolutamente no. Se uno cerca di applicare criteri geopolitici è finito, non ne esce, un anno ci sono più sudamericani altre volte più dal sud est, poi più americani…. Dipende da cosa c’è di pronto e se scegli solo sulla base della qualità o della volontà di rappresentare le cose più di tendenza e interessanti, cioè il cinema che si modifica di anno in anno, la qualità è quello che conta. Non ha senso privilegiare qualcuno per il paese di provenienza, poi magari viene schiacciato. Quest’anno abbiamo un’opera prima nepalese in Orizzonti ma l’abbiamo presa perché è bella, tuttavia mi fa piacere poter dire “Guarda in Nepal ci sono autori interessanti”, è un equilibrio tra attenzione e curiosità per cinematografie meno note che però non deve abbassare l’asta della qualità complessiva.

Invece chi è la scoperta di quest’anno?

Il film cileno, El Cristo Ciego, un’opera prima sorprendente, film di una forza espressiva pazzesca. A parte l’influenza di Pasolini evidente, è uno che ha un talento visivo unico e una capacità narrativa non comune, è costruito narrativamente in maniera magistrale.

È in concorso, simili scoperte sono aiutate dalla competizione?

Dipende, alle volte lo puoi ammazzare un film mettendolo in concorso. Guarda Vigas [regista di Ti Guardo ndr] però, l’anno scorso ci abbiamo pensato molto prima di metterlo in concorso, non sapevamo se lo avrebbe valorizzato e poi ha vinto! Quest’anno pure credo che gli farà bene, poi magari ci sbagliamo eh, ma è un film di fronte al quale tutti noi siamo rimasti di sasso.

C’è un nuovo autore che ritenete di aver scoperto voi?

Probabilmente Vigas è quello che deve di più a Venezia. È stato la scoperta più forte assieme Kaan Müjdeci, l’autore di Sivas, che era il suo secondo film.

Dovesse fare un festival da zero oggi, metterebbe un concorso?

No. Hai mai visto negli ultimi 10-15 anni un verdetto di una giuria che soddisfi tutti o quantomeno sia oggettivamente soddisfacente?

Sì, la vittoria di La Vita d’Adele…

Ok ma poi? Uno su quanti Palme o Leoni d’oro? Perché purtroppo il concorso è una cosa folle, che senso ha dire che il film di Godard è più bello di quello di Lav Diaz? Stiamo parlando in un ambito che, per quanto sia una commistione di arte e commercio, per il cinema d’autore non ha senso.

Nulla però piace più al pubblico di vedere chi vince e chi perde…

Sì, al pubblico piace chi ha vinto e chi ha perso e non si può fare un grande festival senza concorso perché deve promuovere chi vince e chi vince pensa che ne sarà aiutato commercialmente anche se poi sappiamo che non è vero. Ma sono tutte cose accessorie rispetto alla sostanza, quindi se potessi scegliere direi no al concorso. Ma a Venezia non è possibile.

La selezione è finita qui o qualcosa si aggiungerà?

Forse uno spazietto ancora c’è ma non voglio dire niente.

Parliamo di concorso o fuori concorso?

No no fuori, un evento speciale.

Ok, quindi è qualcosa di grosso.

(ride)

 

Questa intervista è una versione di una conversazione con Gabriele Niola originariamente comparsa su Screen International

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