Oggi al Festival di Venezia è stato il grande giorno di Chris Meledandri: il produttore e fondatore della Illumination Entertainment ha ricevuto un Tributo Speciale della Biennale dopo il quale ha tenuto una masterclass davanti al pubblico del Cinema nel Giardino, durante la quale ha mostrato in anteprima mondiale le primissime scene di Sing, il prossimo film dello studio di animazione in arrivo a gennaio in Italia.

Vi riportiamo la nostra trascrizione della masterclass, un Q&A guidato da Emanuele Rauco:

 

Il tuo cognome, Meledandri, tradisce origini italiane. Puoi parlarcene?

Il nome Meledandri arriva da mio nonno paterno, sappiamo poco delle nostre origini ma sappiamo che la sua famiglia veniva da Firenze, mentre un altro lato della famiglia veniva da una zona ancor più settentrionale, verso la Svizzera. Mia nonna paterna invece si chiamava Di Benedetto di cognome, era Siciliana. I miei nonni erano immigrati, si incontrarono a New York: una donna del sud e un uomo del nord. Mio padre è cresciuto nel Bronx dove c’è una comunità ricchissima di italiani, persone molto integrate ma che parlano italiano e mantengono viva la cultura italiana per quanto possibile.

Qual è stato il tuo primo rapporto con il cinema, da bambino? Eri appassionato di animazione o l’hai scoperta più da grande?

Ho scoperto l’animazione più avanti, avevo già un figlio di circa tre anni. Sono cresciuto senza l’animazione, i miei genitori erano cinefili ma mi mostravano film di Antonioni, De Sica, Woody Allen, Renoir, Truffaut: non mi hanno mai portato a vedere film Disney, ci vietavano di vedere la televisione nel weekend quando andavano in onda i cartoni animati. Nessuna esposizione all’animazione da piccolo, solo nei primi anni novanta grazie al rinascimento Disney e ai film di Miyazaki.

Vedendo i film che hai prodotto mi sembra che tu abbia visto molto cinema comico, slapstick, e abbia tratto ispirazione da quel tipo di comicità classica americana.

Mio padre mi mostrava i film dei fratelli Marx da piccolo, adoravo Peter Sellers e la sua abilità di essere verbalmente e fisicamente divertente. Probabilmente per essere uno che produce commedia sono la persona meno divertente al mondo, ma sono stato molto fortunato nello scegliere i miei collaboratori. Chris Renaud, il regista di Pets, e Pierre Coffin… sono cresciuti immersi nell’animazione, influenzati dai cartoon e dalla tradizione dei Looney Tunes, da Jacques Tati e Peter Sellers… e loro sono perfetti per lavorare con me. L’animazione viene fatta da centinaia di artisti… l’importante è saper scegliere le persone con cui lavorare, e di cui ammiri la sensibilità. La commedia nei nostri film arriva proprio dai registi e dagli artisti.

Come sei entrato nel mondo del cinema professionalmente parlando?

Ero un appassionato di cinema, ma non di animazione. Inizialmente ho studiato per fare il produttore cinematografico, volevo produrre film in live action. Lavoravo presso la 20th Century Fox quando uno dei miei capi mi chiese di aiutare a sviluppare un film chiamato Anastasia, di Don Bluth. Iniziai a occuparmi della storia, perché conoscevo poco del processo di animazione. E così iniziai a lavorare al cinema d’animazione perché me lo impose il mio capo. Lavorai ad Anastasia e poi a Titan A.E., quest’ultimo fu un mega flop e mise in crisi tutta la nostra divisione, ma nel frattempo avevo appena iniziato a lavorare all’Era Glaciale: questo fu il film che mi fece appassionare all’animazione.

Ice Age è stata una svolta. Come è stato lavorarci? Che tipo di nuova passione ha suscitato in te?

Per me la svolta è avvenuta grazie agli artisti: iniziai a lavorare con degli artisti di New York, la Blue Sky. Mi innamorai del loro lavoro. Prima di allora facevo film perché mi chiedevano di farli, a quel punto invece mi innamorai del loro lavoro e del progetto dell’Era Glaciale, e così mi sentii spinto a fare quel film. È stata la prima volta che mi sono sentito veramente spinto dalla storia, dai personaggi e dagli artisti a lavorare con passione a un film. Non avevamo mai fatto un film in CGI, era in effetti il quarto film d’animazione CGI di sempre. Blue Sky conosceva l’animazione CGI ma solo per cortometraggi. Io mi sentivo ancora poco esperto di animazione ed ero ignorante di CGI. È stata dura imparare, dovevamo capire tantissime cose: abbiamo iniziato con 40 artisti e siamo arrivati a 250 persone. Fu la prima volta che supervisionavo una macchina enorme come quella, ma ci venne data tantissima autonomia dalla Fox principalmente perché allo studio nessuno voleva responsabilità dopo Titan A.E.: solo il capo della compagnia ci credeva. Per fortuna fu un grandissimo successo.

E dopo quel successo cosa ti ha spinto a lasciare la Fox e creare la Illumination?

Con Ice Age i nostri film iniziarono a funzionare uno dopo l’altro: alcuni film ci rendevano orgogliosi, altri venivano realizzati solo per guadagnare. Un ritmo frenetico, ma io volevo costruire qualcosa, mi piaceva l’idea di costruire qualcosa come la Blue Sky, che nel frattempo era diventata un vero e proprio studio d’animazione. E così dopo 13 anni in Fox ho pensato che dovevo cambiare aria. Quando le compagnie assumono un ritmo tutto loro, limitano la tua crescita perché creano delle consuetudini. Ebbi una splendida opportunità con la Universal, mi invitarono a formare una compagnia con loro. Ero molto tentato ma anche terrorizzato: quello che mi terrorizzava del lasciare un lavoro di successo è che era un’ottima idea per me stesso. E fu proprio quello a convincermi.

La cosa forte della Illumination è il fatto che coinvolga artisti europei e artisti che non fanno parte della scuola americana. Cosa hai trovato in questi artisti che ti ha aiutato a creare il marchio di fabbrica Illumination?

Una delle idee, quando abbiamo aperto la Illumination, era di differenziarla da quello che facevo in Fox ovvero creare lo studio più internazionale tra gli studi di animazione americani. Non lo dissi a nessuno ma lo decisi la prima settimana di lavoro, dieci anni fa: ero a Tokyo e incontrai tanti studios e tanti registi. Cattivissimo Me divenne il più internazionale tra i film d’animazione prodotti fino ad allora. Il concept è di uno spagnolo, uno dei registi è un americano, Coffin è francese, il compositore è brasiliano, un mucchio di artisti sono francesi ed europei. In parte fu una decisione istintiva, e in parte frutto di una sorta di serendipity. Fare la Illumination era fuori discussione: dieci anni fa la competizione degli artisti digitali era ferocissima. Il talento era già stato preso, non avremmo trovato 250 artisti di prima classe negli USA. E così ci rivolgemmo agli UK e a Parigi, la Francia ha le scuole di animazione migliori e c’era già una tradizione nel cinema d’animazione CGI, una vera e propria industria.

Cattivissimo Me segna un’altra svolta nella tua carriera. Come nasce l’idea del film e dei minion?

Sergio Pablos, ideatore del soggetto, condivise una serie di immagini con me: un villan che adotta tre bambine. Iniziammo da loro, ma i design subirono una drastica evoluzione. Il film venne creato su quella idea di Serge, nel concept originale il villan aveva degli aiutanti ma erano i classici “scagnozzi”. Renaud e Coffin, lavorando con il chief designer Eric Guillon, trovarono il modo di creare degli scagnozzi che non sembrassero familiari. L’idea è che Gru non potesse fare tutto da solo, ma che i suoi aiutanti dovessero essere diversi dai soliti aiutanti. In Ice Age l’idea di Scrat venne dal regista e dallo scenografo, mentre i Minions sono il frutto di un processo evolutivo artistico: i nostri artisti hanno costruito sulle idee l’uno dell’altro. Sono il risultato del lavoro di più collaboratori. Quello che amo dell’animazione è che tra tutti i mezzi artistici è il più collaborativo.

Noi critici solitamente diamo il merito a registi e artisti, ma tu hai una impronta precisa nei suoi film. Come lavori con gli artisti per plasmare qualcosa che sia tuo ma anche di chi i film li firma come regista e sceneggiatore?

Per quanto mi riguarda inizio con la storia, e con l’amore per la produzione. Seguo tutto, dall’incipit dell’idea alla vita del film dopo la distribuzione al cinema. Le idee, poi, vengono da me o dai collaboratori. Nel caso di Sing si tratta di un’idea che mi è stata proposta, è nata da Garth Jennings. Come produttore la cosa più creativa che faccio oltre a guidarci verso le storie giuste è scegliere le persone, e le scelgo basandomi su come mi sento quando vedo il loro talento. Tra le tante persone con cui abbiamo lavorato sin dal primo Ice Age i registi spesso erano al loro primo lungometraggio: vedendo i loro cortometraggi mi sono reso conto che potevo affidargli un lungo e potevo fidarmi. Io e la produttrice Janet Healy siamo sempre molto coinvolti. Quando il pubblico esce dai cinema dopo i nostri film, gli elementi che vengono amati di più sono cose sulle quali non ho alcuna responsabilità creativa. Si tratta di momenti, a volte anche solo ciò che accade nello spazio tra le parole… e quello è il lavoro degli artisti. Sono cose che non avrei mai immaginato da solo, cose che finisco per ammirare enormemente.

Come è nata l’idea di Pets e la caratterizzazione degli animali?

L’idea ci girava in testa da tanti anni. Era una idea molto semplice a cui pensiamo tutti: cosa sta facendo il mio animale domestico quando non sono a casa? Gli animali hanno un amore incondizionato verso di noi, persino i gatti anche se lo nascondono, ma qual è la loro vita privata? Era un’idea che poteva innescare un film. La loro caratterizzazione è merito degli artisti, una grande collaborazione tra me, Janet, Chris e altri… abbiamo disegnato immagini e pensato a scene insieme, accumulando tantissime idee assieme a ricordi di animali d’infanzia. Quella parte del processo è stata molto interessante. Il film è nato da un concept, non da una storia: trovare la storia è stato complesso, un processo molto più lungo di quello che abbiamo affrontato per Cattivissimo Me.

Per quanto riguarda Sing, in arrivo a gennaio in Italia, sembra molto diverso da Pets…

Nasce da un’altra idea a cui penso da anni in forme diverse. Il cuore di Sing, oltre all’attrazione che ho nei confronti al genere del “mettiamo insieme uno spettacolo”, cioè musica e danza nella narrativa, è il suo protagonista. Si tratta di Buster Moon, un koala in un mondo in cui gli animali lavorano. Possiede un teatro, ed essendo un produttore che deve creare qualcosa dal nulla… mi ci immedesimo molto. Il produttore di animazione crea cose ancora più dal nulla (si inizia con fogli bianchi)! Buster Moon è praticamente un produttore, ha un carattere ottimista ma è anche un furfante cocciuto. Ma come produttore devi sempre credere che ciò che vedi nella tua testa è reale, o nessuno ci crederà e ti sosterrà. Buster Moon ha un teatro che se la passa male e lui è disperato, deve portare il pubblico nel suo cinema. Il teatro è il posto dove lo portava suo padre, e ha passato la sua vita a cercare di portare la gente al teatro… davanti alla prospettiva di chiudere decide di diventare più moderno, e la cosa più moderna da fare è organizzare una competizione canora dal vivo. Il suo migliore amico pensa sia l’idea peggiore del mondo, ma Buster vuole mostrare che può produrre uno spettacolo con talenti che nessuno immaginava ci fossero in quella città.

sing

 

Dopo la masterclass abbiamo assistito alla proiezione dei primi 20 minuti di Sing, seguiti da un’altra breve scena estratta dalla fine del film.

In breve, il film racconta di un impresario di spettacoli musicali, un koala di nome Buster Moon, che decide di mettere insieme una competizione canora nella sua città. Il film inizia con un flashback nel quale vediamo il piccolo Buster che assiste alla sua prima rappresentazione teatrale nel teatro della città, teatro che rileverà qualche anno più tardi in una sequenza nella quale, grazie alla sua stessa voce fuori campo, scopriamo che nonostante la passione per ciò che fa, Buster è anche un pallone gonfiato e il suo teatro sta fallendo. Facciamo conoscenza della sua segretaria (una esilarante vecchia lucertolona) e apprendiamo che Buster è sostanzialmente al verde. Ma l’impresario non si dà per vinto, e quando si rende conto di dover trovare un modo per spingere nuovamente i cittadini a frequentare il suo teatro. L’idea di fare un contest canoro dal vivo ha enorme successo, soprattutto perché la sua segretaria aggiunge per sbaglio due zeri sui volantini al premio in denaro messo in palio da Buster. Assistiamo quindi alle selezioni, alle quali partecipano anche una serie di personaggi che vengono presentati parallelamente a Baster durante i primi dieci minuti del film: una maialina casalinga, una elefantina molto timida, un gorilla dall’animo gentile e appassionato di musica R&B ma anche membro di una gang di malviventi, un maialino decisamente esuberante, e così via. Tutti questi personaggi si incontrano durante le audizioni, che sono inevitabilmente esilaranti (meraviglioso il momento in cui un gruppo di panda rossi si presenta ad audizioni terminate e inizia a cantare una canzone J-pop). I 20 minuti mostrati terminano con l’annuncio dei personaggi selezionati per il concorso, un gruppo decisamente eterogeneo, e la presa di coscienza da parte di Buster che tutti hanno partecipato alle audizioni perché il montepremi promesso era di centomila (e non mille) dollari.

Nell’ultima scena proiettata, quella tratta dalla fine del film, scopriamo che l’intero spettacolo è andato in malora e che Buster, senza darsi per vinto, ne ha messo in piedi uno nuovo. Vediamo quindi l’esibizione dei due maialini che non solo convince i (pochi) spettatori nel teatro ma soprattutto i numerosi spettatori che seguivano da casa tramite la televisione…

Sing uscirà il 4 gennaio in Italia.

 

 

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