Sono le 04.30 del pomeriggio. Benoît e Julie sono l’uno accanto all’altro, su due poltroncine in velluto, pacifici e sereni… Hanno appena ultimato una sessione di fotografie per la presentazione di À Jamais Fuori Concorso a Venezia 73. Julie sfoggia una vestaglia nera, semplice e fine che ben risalta la sua carnagione chiara. Non indossa catenine, polsini né orologi. Traspare un po’ di timidezza da come ci racconta la sua giornata, come se volesse far amicizia ma avesse paura a sviare dal rigido timing dell’intervista.

Jacquot invece sfoggia la sicurezza del regista esperto. Le 69 primavere, abbinate a una camicia in stoffa blu scura, calze lunghe invernali e sneaker nere sono solo alcuni tratti di un atteggiamento colloquiale che ci consentirà di spaziare sul cinema e non solo sulla pellicola che ha presentato, fuori concorso, al Festival. Le profonde rughe della sua fronte si tendono. Ci guarda con simpatia. Da sinistra a destra.. Il più giovane tra noi giornalisti avrà si e no 35 anni.

Come mai hai scelto di sceneggiare il libro di Delillo? Che cosa ti ha più affascinato?

Quello che più mi ha attratto è il rapporto tra l’esteriorità della vedova e l’interiorità degli eventi. Lei è convinta che lo spirito del marito aleggi in casa e cinematograficamente puoi rendere l’effetto post mortem lasciando interagire gli attori chiedendo di farlo in modo più distaccato. Al contempo la protagonista vive una normale quotidianità, senz’altro più scossa di quando erano felicemente sposati.. Ma pur sempre normale.”

La scrittura di Delillo è eclettica, complessa e forse troppo letteraria per pensare ad un adattamento cinematografico. Come ha pensato di curare la sceneggiatura?

A dire il vero mi sono limitato a dare qualche suggerimento. Ho affidato da subito il lavoro a Julie. (Roy, attrice protagonista e sceneggiatrice, ndr). Non sono la persona migliore per scrivere gli script… Non amo i romanzi a cui mi ispiro per i miei film. A volte li trovo troppo prolissi e poetici e non mi catturano. Anche Body Art di Delillo non mi ha catturato… E mi capita spesso di non apprezzare i libri che fanno da base per la sceneggiatura. E va bene così perché l’ho considerato come una traccia per immaginare i fotogrammi e delineare la mia versione della storia.

Mi rivolgo a Julie. Per affrontare la sceneggiatura, avevi guardato Cosmopolis di David Cronenberg? Hai eliminato il superfluo come fatto dal regista canadese?

Abbiamo visto Cosmopolis, anche se non assieme. E prima di iniziare le riprese del film. L’ho guardato per curiosità pur non ispirandomi al lavoro di Cronenberg.. Ho preferito far mia la sceneggiatura e sperimentare.

Sei già attrice e sceneggiatrice. Ti vedi tra qualche anno seduta dietro alla cinepresa in veste di regista?

No, non è il mio campo. Preferisco essere diretta sul set. Il recitare e la scrittura non sono due campi così diversi. Sono molto intimi. Prevedono un’analisi interiore che in un qualche modo li accomuna.

Interviene Benoît Jacquot. Scherza sul fatto che è ancora molto giovane e che sia necessaria l’immaginazione e la mano ferma per lavorare come regista. Julie lo scruta un po’ indispettita, come se non si aspettasse tale valutazione dinanzi al gruppo di giornalisti. Due risate. Un “ma dai scherzavo” di consolazione. E si torna alle domande. NDR.

Nel film imperversano forti piogge, venti e temporali. E il sonoro dei sorpassi in moto è tumultuoso. Che tipo di effetto voleva raggiungere con l’audio surround di quelle scene?

Penso che voi abbiate ascoltato il film con un volume più alto del previsto. Ho notato che nelle sale del Festival si tende ad aumentare il sonoro. Personalmente ho sviluppato il surround con i tecnici del suono e ho ascoltato i loro consigli…

La colonna sonora di Bruno Coulais è invece a tratti hitchcockiana, non trova?

Si, va in quella direzione. È il genere del film forse.. È un thriller con una storia d’amore complicata e il compositore è riuscito a catturare tanti sentimenti. Anche se ammetto di non avergli mai consigliato di ispirarsi alle partiture di Ingrid Bergman.

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