Non lo diciamo ogni anno e quindi lo diciamo quest’anno: è stata una delle edizione della Mostra del Cinema di Venezia più importanti degli ultimi anni.

Da quando c’è un nuovo direttore, ovvero Alberto Barbera (il cui mandato è rinnovato per altri 3 anni), è stato messo in moto un processo di rinnovamento che è coinciso con alcune buone mosse e un po’ dell’indispensabile fortuna. Questo processo ha fatto un salto in avanti e trovato il suo culmine in quest’edizione. Per quanto l’anno prossimo potrebbe essere portato ancora più avanti, di certo questa sarà l’edizione in cui le cose sono cambiate.

Tutti insieme ci siamo trovati davanti almeno 5 grandi cambiamenti che riguardano sia il festival, sia quello che questi 10 giorni ci hanno detto del cinema in generale e del cinema italiano in particolare.

1. Il futuro del cinema d’autore

Tutti i festival inseguono il futuro del cinema. Fa eccezione Cannes, che nella selezione ufficiale celebra il passato o conferma autori affermati, lasciando alla sezione parallela, la Quinzaine des Raelisateurs, il compito di scoprire il cinema nuovo. Gli altri con più o meno lena e apertura mentale (Berlino, Locarno, Busan, Toronto e il Sundance) tutti cercano di intercettare, capire e rappresentare il presente e quindi il futuro del cinema. Venezia negli ultimi anni l’ha fatto meglio di tutti, non tanto con i film che ha preso o si è potuta permettere di prendere (quella è una variabile figlia di cosa sia pronto in quel momento dell’anno, di quali film abbiano una produzione che è disposta a spendere per andare al Lido, di amicizie con i direttori e via dicendo) ma con la forma che ha dato al festival.
Per anni il cinema “da festival” è stato un cinema bellissimo e intellettuale, profondo, sperimentale e molto molto influente. Quel cinema lì lentamente sembra scomparire e là dove non scompare non ha più la forza di prima. Non vuol dire che non siano film belli, ottimi o fantastici, lo sono, ma non hanno la capacità di farsi vedere. Zhang Yimou negli anni ‘90 (non parlo degli anni ‘60, ma di poco tempo fa) vinceva Leoni d’oro e incassava bene in sala, anche in Italia. Oggi non accade più, ma nemmeno lontanamente. Quel cinema lì che ancora si fa, parla a sempre meno al pubblico. In compenso può essere sostituito da uno diverso. Da Nicolas Refn, da Ana Lily Amirpour, da Denis Villeneuve, da Jacques Audiard, Damien Chazelle e via dicendo, sono tutti autori che flirtano con il genere che puntano altissimo con film anche commerciali, che fanno il medesimo lavoro sulla forma e sull’innovazione ma all’interno dei limiti e delle convenzioni del boxoffice.

2. I Festival di cinema sono anche festival di serie tv

Se Berlino è stato il primo tra i maggiori a dare un vero risalto alle serie tv (la Festa del cinema di Roma l’aveva fatto anche prima ma la sua capacità di incidere sul sistema dei festival mondiale è relativo), Venezia l’ha seguito mostrando diversi lavori ottimi (Olive Kitterige, Mildred Pierce) e quest’anno Young Pope, prodotto attesissimo. Le serie tv sono ai festival per restarci, ancora non vanno in concorso, non competono con i film (forse non lo faranno mai, forse sì), ma hanno un peso determinante quanto a capacità di attirare pubblico e stampa. Chi non si conforma, cioè Cannes che ufficialmente è contrario come ha detto il suo direttore, propone cinema-museo, propone una fase più arretrata dell’evoluzione della lingua che parla il cinema. Xavier Dolan, Nicolas Winding Refn, Pablo Larrain e via dicendo sono autori fantastici e il futuro di quel che chiamiamo cinema d’autore, ma sono per l’appunto singoli autori, per definizione vanno e vengono, fanno film più o meno riusciti. Decidere di dare alle serie tv, il medesimo posto sul grande schermo dei lungometraggi è una decisione che resta e che amplia lo spettro di quel che consideriamo audiovisivo d’autore. Il pubblico lo sa ormai da tempo, i festival l’hanno capito e Venezia in primis.

3. Il cinema italiano insegue i ragazzi

Forse non serviva la Mostra del cinema per capirlo, bastava la premiazione dei David di Donatello o bastava assistere ad una qualsiasi delle più recenti riunioni tra produttori e distributori. Però se solo due anni fa alla Mostra tra i film italiani c’era tantissimo cinema criminale declinato in varie forme e generi (Anime Nere, Perez., La Trattativa, Belluscone, Senza Nessuna Pietà), quest’anno abbiamo visto L’Estate Addosso, Questi Giorni, Piuma e Indivisibili, senza contare che solo pochi mesi fa è uscito in sala Un Bacio. Tutti film con ragazzi, teen movie più o meno riusciti, più o meno davvero per ragazzi. Ma l’intento è quello. Recuperare quel pubblico. Addirittura anche alla Mostra di Venezia.

4. La Mostra per il pubblico

C’è una nuova sala a Venezia, si chiama “Cinema nel Giardino” e propone film per il pubblico.
Pubblico del Lido, le persone che vivono qui o quelli che vengono e non fanno parte della stampa, sono film selezionati per essere diversi da quelli che si vedono nelle altre sezioni, più leggeri ma non per questo scemi, più disimpegnati ma non per questo cretini. Ora che ne abbiamo visti alcuni possiamo dire che non sempre quest’equilibrio è riuscito (ma del resto film deludenti si trovano in tutte le sezioni), però di nuovo, al di là dei singoli film che possono andare e venire, ha grande senso l’idea in sé, il tipo di proposta fatta. Il festival come istituzione sta perdendo terreno presso il grande pubblico e qualsiasi maniera di associare a Venezia film di maggiore appeal è una manna. Quest’anno per dire in Il Cinema nel Giardino” abbiamo visto tra gli altri L’Estate Addosso, Pets della Dreamworks, un documentario di Michele Santoro (Robinù) e la grande serata/celebrazione di Zombie con Argento e Nicolas Winding Refn.
È una sezione che negli anni non può che migliorare perché, sa bene chi ha letto la nostra intervista a Barbera, quest’anno in molti (italiani) proprio non ci sono voluti andare a fare da pionieri.

5. La corsa all’Oscar inizia dal Lido

È la cosa che più è stata ripetuta riguardo Venezia (anche da noi), è stata una realtà negli anni scorsi (Gravity, Birdman, Spotlight) e c’è stata subito molta speculazione sui titoli “da Oscar” di quest’anno.
Non abbiamo le cifre dell’affluenza ma la sensazione, stando al Lido, era che il pubblico fosse più del solito. Più stampa internazionale (mai sentito tanto parlare in lingua straniera intorno a noi negli ultimi anni) ma anche tanti badge verdi, cioè appassionati, né stampa né industria ma persone che entrano in sala per piacere, molto spesso ragazzi. Probabilmente è merito sia dell’apertura al cinema più commerciale (apertura a due vie, non basta volerli i film americani, ci devono anche voler venire), sia della presenza vera di Oscar contender.
Prima del festival tutti (direttore Barbera incluso) puntavano su La La Land e Arrival. Scelta sacrosanta e ancora valida. Adesso che li abbiamo visti però non solo confermiamo, ma rilanciamo su altri due film che possono tranquillamente combattere da qui a Febbraio per una nomination. Il primo è Jackie, che ha confermato tutte le attese, il secondo è Hacksaw Ridge di Mel Gibson, pienamente classico, pienamente celebrativo e dotato di quella facilità di linguaggio che è viatico principale per gli Oscar.
Non possiamo sapere che scelte farà l’Academy o anche solo quali produzioni investiranno il necessario nella corsa, però quattro film in grado di battersi è una media davvero davvero alta.

SPECIALE FESTIVAL DI VENEZIA

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