Duro colpo per la ribellione: è morta Leia Organa.

Dei molti modi con i quali si può “abitare” la celebrità che dà un film come Guerre Stellari, quello che Carrie Fisher ha adottato suo lungo i decenni è uno dei più strani e originali.

Se Mark Hamill non ha mai davvero superato quel ruolo, ritagliandosi lavori diversi e alternativi e Harrison Ford invece ha trovato da lì una strada in film d’azione e avventurosi, Carrie Fisher ha passato il resto della sua esistenza professionale facendo la straordinaria meteora. Passava all’interno dei film, spesso anche di media grandezza, come un asteroide imprevisto. Ruoli piccoli e tosti, compariva come un’apparizione, sembrava divertirsi molto più di quanto non contribuisse al film. Nulla di sufficiente ad identificarla con altri ruoli o a renderla persona a sé, ogni volta era “Oddio ma è Leila?!?!”. Come una privilegiata recitava a bocconi, sembrava lasciare l’impresa prima che lo sforzo sopravanzasse la soddisfazione.

Il cammeo incredibile in I Blues Brothers come ex-amante abbandonata (ma ancora sedotta) armata di lanciarazzi e inceneritori, quello sorprendente in Austin Powers come psichiatra in un inserto demenziale, ancora il ruolo più serio in Hannah e le sue sorelle o quello come Madre Superiora in Charlie’s Angels, la parte in Harry ti Presento Sally, il doppiaggio in I Griffin. Senza stare a elencarli tutti, ogni volta era come se lei stessa si divertisse con la propria immagine.

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Chiunque abbia visto una sua intervista ha capito che non era la classica personalità in cerca di fama o dalla sfrenata mania per la realizzazione professionale, aveva avuto il suo acme e sembrava bastarle. Del resto era così legata alla principessa Leila da intitolare la sua autobiografia The Princess Diarist. Aveva un rapporto fenomenale con qualcosa per il quale altre avrebbero potuto anche provare odio.

Le interviste di Carrie Fisher sono davvero uno spettacolo a parte. Ha una rapidità di risposta, una pregnanza, un’ironia e un’assoluta mancanza di scrupoli esilarante. Era una donna molto divertente e lo sapeva, era molto famosa e corteggiata e sapeva di potersi permettere di tutto. Qui massacra una conduttrice giovane, qui a meno di 30 anni tiene testa a Johnny Carson e qui semplicemente ha deciso di divertirsi.

 

 

Il suo corpo minuto non sembrava tale in Guerre Stellari perché gli attori accanto a lei o erano titanici per ruolo (David Prowse nel costume da Darth Vader) o minuti quanto lei (Mark Hamill) o un po’ più alti come ci si aspetta da una spalla romantica (Harrison Ford). In realtà era uno scricciolo ben più formoso di quel che si poteva intuire nelle tuniche di Episodio IV o nelle tute di Episodio V (ma come si capisce dal bikini di Episodio VI), Lucas l’aveva scelta per la sua bellezza tranquilla e non voleva nessuna forma di sex appeal. Basta guardare le foto sul set per capire quanto fosse in realtà più attraente e carnale dell’eterea Leila. Nel primo Guerre Stellari addirittura ha un velo in testa come fosse la madonna e per evitare che si intuisse del seno, questo le veniva compresso con dello scotch per espressa volontà del regista, e le ha precluso ogni possibilità di diventare un corpo conturbante per il cinema. Tuttavia è anche ciò che, sommato al fantastico piglio, l’ha trasformata nel massimo esempio dell’epoca di donna forte ed indipendente. Se Leila era già nella sceneggiatura quella che conosciamo, Carrie Fisher ha portato in più un modo di guardare, reagire, imprimere forza ad ogni battuta tagliente che era solo suo. Principessa che gli altri chiamano viziata ma che dimostra di essere solo determinata.

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Del resto aveva iniziato con Shampoo, il primo film a meritarsi di entrare in quella che successivamente è stata chiamata Nuova Hollywood, e per molti versi (almeno secondo Peter Biskind) è stata protagonista del film che quell’era l’ha chiusa definitivamente (per l’appunto Guerre Stellari).

Era asciuttissima con labbra sottili e occhi grandi, non una bellezza convenzionale ma una personalità spiccata. Il suo romanzo Cartoline dall’Inferno, in cui raccontava di un burrascoso rapporto tra una madre e una figlia che non sembravano troppo lontane da lei e sua madre Debbie Reynolds, è diventato un film diretto da Mike Nichols (ancora la Nuova Hollywood) con Meryl Streep e Shirley MacLane. Che non è poco.

Nonostante sia deceduta prematuramente a soli 60 anni se n’è andata con un tempismo impeccabile. Il cammeo digitale in Rogue One: a Star Wars Story è il più fantastico dei possibili testamenti. Resettata nel suo momento aureo, nell’immagine che ha cambiato la sua vita, la sua ultima interpretazione (se così si può definire, anche perché la rivedremo poi in Episodio VIII l’anno prossimo) l’ha riportata come tutti la ricordano, capelli intrecciati a cuffia e lineamenti giovani, impossibile immaginarla diversamente, eternamente principessa.

 

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