Quando in Arrival la dott.sa Louise Banks passa diversi minuti davanti alla lavagna a spiegare come sia opportuno procedere, cosa abbia scoperto, come funzioni quel poco che ha capito della lingua aliena e come mai non possano semplicemente imparare lo stretto indispensabile per porre agli alieni quella domanda che preme a tutti, non sta esponendo un punto nodale della trama, non sta facendo quel che davanti ad un’altra lavagna enunciava Doc Emmet Brown in Ritorno al Futuro 2, non sta cioè spiegando qualcosa che serve al pubblico per capire (noi potremmo anche non sapere niente di quella lingua e nulla cambierebbe), sta esponendo il piacere stesso e l’eccitazione dell’esplorazione scientifica.

È uno dei molti momenti in cui Arrival si distacca dal resto della fantascienza e dimostra di essere parte dell’ondata di Nuova Fantascienza che da un pugno d’anni occupa le nostre sale. Film come Gravity, Interstellar, The Martian, Inception o Her, hanno in comune l’idea che l’esplorazione prende il posto del conflitto, in essi l’eroismo è immutato ma passa dall’azione alla conoscenza, non si combatte un nemico ma l’ignoto, i limiti umani o l’ambiente. È un cambiamento non da poco, approvato dal pubblico che sta premiando questi film caratterizzati dal raccontare un modo di essere e guardare il mondo prima ancora di una storia.

Da quando molto del cinema fantastico e d’azione sembra prediligere la via della fantascienza, contaminandosi volentieri di armature, futuri, tecnologie, spazio ecc. ecc. la sci-fi hardcore, quella originale e non appartenente ad alcun franchise, ha preso tutto un altro percorso. Uno che si presenta come la più grande e istintiva risposta del cinema alla crisi di fiducia nelle élite vissuta dalla società occidentale. I veri eroi dei nostri anni sono gli scienziati, la vera avventura è quella della conoscenza, il vero mistero spaventoso è quello dell’ignoto, il vero incubo è l’ignoranza.

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Film come Hunger Games, I Guardiani della Galassia, Divergent ma anche Iron Man (a modo suo) e Avengers, indossano il costume della fantascienza solo per comodità o per divertimento. Per dirlo con altre parole, posti sulla bilancia della fantascienza sono tutti sbilanciati sul lato del fanta più che su quello della scienza. Non hanno interesse ad essere precisi o accurati con le loro basi scientifiche, non gli serve nè ne hanno bisogno, le loro sono avventure spaziali, avventure nel futuro o avventure tecnologicamente avanzate.

È però solo una faccia della fantascienza, quella di meraviglioso intrattenimento, quella di Il Pianeta delle Scimmie, che tuttavia trascura temi e speculazioni da sempre cari al genere, quelli di film come Solaris. In parole povere questi film soddisfano (e spesso molto) un certo tipo di pubblico o un certo bisogno cinematografico, lasciando una terribile sete di altro. Questa dialettica solo ora ha però dato vita ad un corpo di opere e progetti molto coerenti per impostazione, tono e rapporto con il fantastico e lo scientifico, uno che probabilmente costituisce il fascio di corrente elettrica più eccitante tra quelli che attraversano e alimentano il cinema in questi anni.

Questa fantascienza che flirta in maniere inedite con il concetto di plausibile (nonostante non siano mai effettivamente plausibili questi film cercano e spesso riescono a sembrarlo molto più degli altri) non è solo una risposta battagliera al fatto che i blockbuster stanno diventando sempre di più fantascienza “fantastica”, spensierata. È impossibile non vedere in tanta gloria per la scienza e per l’avventura della conoscenza una rivincita della cultura specialistica in un mondo che sembra relegarla ai margini. Addirittura nella trama di Interstellar questo contrasto entra esplicitamente nello scenario, la fobia di un mondo futuro che rigetti il progresso, finendo in una distopia priva di scienza. Che proprio in questi anni in cui il concetto di “esperto in una data materia”, come delegato affidabile per prendere decisioni per tutti, venga messo in discussione se non proprio apertamente combattuto nell’arena politica, un gruppo di film trasformi in eroi quelle stesse figure che ieri erano marginali, spalle occhialute di eroi con la mascella grossa che univano senso del rischio a sprezzo del pericolo, e che avvenga proprio nella fantascienza, sembra insomma estremamente significativo.

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È stato probabilmente Wall-E il primo ad indicare la via (e sembra davvero calzante che a dare il calcio d’inizio sia stato un film d’animazione, e proprio della Pixar, la categoria di film e lo studio più importanti dagli anni 2000 ad oggi), un film di fantascienza in cui al centro di tutto non c’era un nemico ma un percorso di scoperta, che non prevedeva uno scontro nè aveva la risoluzione del proprio intreccio in un’opposizione ma che raccontava, attraverso difficoltà appassionanti, l’esplorazione dello sconosciuto. In quel film ancora c’era un piccolo villain e la relativa necessità di abbatterlo (l’intelligenza artificiale della nave) ma erano i personaggi comprimari ad avere quel problema, cioè gli umani, i protagonisti in realtà erano altri, i robot, e avevano altri problemi.

Per quanto in embrione, Wall-E introduceva il concetto che poi è stato alla base del grande cambiamento concretizzatosi di lì a poco.
Esplorare (nolenti) lo spazio attorno alla Terra alla ricerca di una maniera per ritornare, oppure spingersi ai confini dello spazio a noi noto arrivando a combattere le diverse gravità e il loro impatto sul tempo, o ancora essere costretti a vivere su Marte solo grazie alle cognizioni scientifiche, oppure avere a che fare con un’intelligenza artificiale avanzata ed esplorarne i limiti attraverso un rapporto sentimentale. Ognuno di questi film fa il medesimo lavoro di Arrival: non usa un po’ di scienza per rendere appassionante una storia fantastica, ma appassiona alla missione della scienza cercando di trasmettere quella sete di conoscenza che la stimola.

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Per arrivare a questo occorre insistere sullo sfondo tanto quanto sul primo piano, lavorare tanto sullo scenario quanto sui protagonisti. Non sappiamo molto delle leggi che regolano lo spazio di I Guardiani Della Galassia né in Guerre Stellari ci si scontra mai con i limiti di “quello che è possibile fare”. Invece in questi film sì, il contesto e le regole sono fondamentali, perché sono ciò che contiene il limite contro cui lottano i personaggi: l’ignoto. Invece che battersi per riportare lo status quo iniziale, come prevede la narrazione tradizionale, spesso i protagonisti dei film della Nuova Fantascienza lottano per cambiarlo, per approdare ad un nuovo equilibrio, frutto di una conoscenza migliore, più avanzata. Anche in un film come Moon, in cui la scoperta della propria natura è alla base di tutto, sembra che il mondo in cui il protagonista ha vissuto (la sua base, la sua compagnia, la sua missione) siano più importanti di ogni intreccio.

È evidente che non sono i primi film a fare questo, Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo o Ultimatum alla Terra e molti altri potrebbero rientrare perfettamente nella categoria, e in una maniera un po’ avventurosa si potrebbe affermare che un piccolo seme l’ha gettato dieci anni fa I Figli degli Uomini, in cui tutta la storia è un modo per esplorare ciò che è accaduto al mondo. Quel che è significativo semmai è che film simili e storie simili stiano uscendo tutti insieme adesso e che riscuotano successo, a testimonianza della sete che esiste per il loro approccio.
Che la risposta della fantascienza ai nostri anni sia la glorificazione dell’esperienza scientifica, la messa in scena avventurosa di professori o ingegneri come eroi di una lotta che non è contro altre forme di vita o contro il nostro opposto logico (i robot) ma è una metafora affascinante dell’avanzamento della conoscenza, suona allora appropriato.

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È una fantascienza nerd chiaramente, una che risente anche della tendenza di tutti i grossi film dei nostri anni a spiegare tutto, chiarire ogni presupposto, fornire basi, antefatti e dettagli, ma anche una che celebra la cultura dell’approfondimento. Tuttavia se fosse solo questo non sarebbe un cambiamento davvero significativo, invece questo è uno che rivede caratteristiche e attributi fondamentali di chi indichiamo come “eroe” nella nostra società. Non più qualcuno che agisce d’impeto e impulso, seguendo il proprio istinto senza basarsi sui freddi numeri (atteggiamento una volta ritenuto da codardi o da insensibili, se non proprio da “cattivi”), non più qualcuno sprezzante di un pericolo che sconfiggerà con la destrezza, ma un individuo che conosce benissimo ciò che affronta, che non decide d’impulso e d’istinto ma tramite ragionamenti raffinati e non trionfa con la destrezza fisica o l’abilità quanto con il coraggio intellettuale di non cedere agli istinti più bassi e dominare la passione con l’intelletto.

In Interstellar il grande dibattito tra i protagonisti è proprio se prendere una decisione seguendo i sentimenti oppure la logica (e addirittura se l’amore non sia anch’esso una forza della natura, una che non conosciamo e che non sappiamo misurare ma che in fondo non è troppo diversa dalle altre), uno snodo che in altri generi o anche solo in altri tipi di fantascienza non sarebbe nemmeno ipotizzabile, perché la parabola eroica classica (specie statunitense) racconta che solo il proprio istinto può portare alla vittoria vera, il trionfo “contro ogni logica”. In The Martian il sopravvissuto chiede ai suoi compagni di non tornare indietro e questi lo fanno solo dopo aver calcolato in maniera molto accurata tempi e traiettorie, scorte e carburante. Così in Arrival il momento in cui Amy Adams si forma davanti ai nostri occhi come eroina, è quando si erge per affermare il primato della conoscenza sul pregiudizio, dell’approfondimento sull’istinto, nel momento di prendere una decisione importante. Addirittura l’attimo di maggiore suspense è risolto dal fatto che lei, una linguista, conosca il cinese! Un eroe vecchio stampo avrebbe teso la mano agli alieni perché sì, perché gliel’avrebbero detto l’esperienza e il suo cuore puro ed impavido, la dott.sa Louise Banks lo fa perché li ha studiati e li ha capiti.

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