Esploso con Shine nel 1996 (candidato a Miglior Film e Miglior Regista agli Oscar 1998), questo gentilissimo sessantenne australiano dai capelli fluenti si è specializzato nella sua carriera in drammi adulti e commedie commerciali sempre dominate da una certa bonomia, eleganza e abilità nel casting. Tra i titoli di una carriera di tutto rispetto troviamo, dopo il gioiello Shine, Cuori In Atlantide (2001) da Stephen King con Anthony Hopkins, Sapori e Dissapori (2007), Ragazzi Miei (2009) e Ho Cercato Il Tuo Nome (2012) da un romanzo di Nicholas Sparks. Fallen è, proprio dopo Cuori In Atlantide, il primo vero supernatural movie per il gentile cineasta di cittadinanza australiana.

Abbiamo chiacchierato su Skype con Hicks a proposito del film appena uscito in Italia tratto dalla tetralogia firmata Lauren Kate, compreso l’argomento spinoso di una distribuzione nordamericana per ora ancora nebulosa.

Perché arriva Fallen nella tua carriera?
Me lo hanno chiesto anche tanti amici intimi. Sono stato avvicinato dai produttori e sono stato sorpreso dalle loro idee. È vero, potrebbe sembrare inusuale per me ma quando ho letto i libri di Lauren Kate ho capito perché avevano pensato a me. Volevano che il romanticismo venisse fuori in maniera prepotente. Non volevano che gli effetti speciali e il fantastico prendesse il sopravvento fin dall’inizio della saga. Quindi è l’amore, nel senso più tecnico di love story, che mi ha portato dentro il film. Mi sembrava appropriato per me, in questo momento della mia carriera, uscire anche fuori leggermente dal seminato per affrontare qualcosa di nuovo mantenendo però una fedeltà al mio modo di fare cinema.

Qual è stata la sfida più grande?
Un film con gli effetti speciali. Ma ogni tanto è un buon segno per un regista cambiare e sperimentare cose diverse. Mi sono divertito molto a lavorare a questo tipo di progetto. Il giovane cast è stato brillante. Siamo stati a Budapest tutti insieme. Per tanto tempo. Inizialmente pensavo che gli attori, così giovani, avrebbero potuto litigare una volta all’estero e invece si sono trovati benissimo insieme. Si è creata una sorta di comunità come una famiglia apolide in vacanza.

Il film mi ha ricordato molto il tuo Cuori In Atlantide come stile e idea di regia. L’orrore e il sovrannaturale venivano fuori nella seconda parte del film anche in quel caso. Che ne pensi?
Interessante. Provo una certa fatica a riparlare di Cuori In Atlantide per via di quello che è successo ad Anton Yelchin (l’attore tragicamente scomparso nel 2016 aveva solo 11 anni durante le riprese del film, N.d.R.). Una vera tragedia. Mi piace questa connessione tra i film. Il mio istinto da regista è sempre quello di gettarmi nelle relazioni tra personaggi e quindi sì… c’è un nesso tra Cuori In Atlantide e Fallen. Sono stato schivo nel rappresentare le ali degli angeli caduti così come in quel film del 2001 sono stato schivo nella rappresentazione del fantastico nella seconda parte della pellicola. Volevo che Fallen fosse fantasy solo negli ultimi minuti. Era quindi importante che venisse fuori la relazione psicologica e carnale tra i personaggi un po’ come accadeva nel rapporto padre-figlio tra Anthony Hopkins e Anton Yelchin in Cuori In Atlantide.

Inoltre in Fallen c’è un esterno al racconto (le tradizioni e le leggi di questa comunità di angeli caduti) che entra in conflitto con il cuore del racconto (i nostri protagonisti Lucinda, Daniel e Cam), come in Cuori In Atlantide dove all’improvviso intervenivano degli agenti esterni portatori di minaccia e nuove mitologie…
Sì, è vero. C’è sempre per me questa idea della famiglia di bambini persi in cerca di genitori. Lo metto in quasi tutti i miei film, dai più personali ai meno. Anche in Shine c’era questo elemento. Troviamo dei bambini persi, senza una guida genitoriale e poi all’improvviso arriva una minaccia esterna. Non è qualcosa di conscio ma capisco le connessioni tra tanti miei film. Questi personaggi sono orfani e non hanno padre né madre.

Tranne Lucinda…
La quale però ha una madre che la lascia a Sword & Cross e poi scompare stando in campo pochissimo!

Qual era la tua maggiore preoccupazione dal punto di vista visivo?
Cercavo un’oscurità morbida. Un gotico sexy.

Parlami dell’Ungheria come location. È servita allo scopo?
Ho adorato girare il film in Ungheria spacciandola per America. Dovevamo essere in grado di immergerci tutti in un ambiente gotico europeo. Ogni volta che qualcuno mi chiedeva cosa stessi facendo rispondevo: “Una gothic teen love story con gli angeli”. L’idea di stare lontani dall’America per tutto quel periodo di riprese è stata una grande scelta per me e per tutto il cast. Anche solo l’ungherese, come lingua, ha messo in crisi i miei attori al punto da creare all’interno di tutta la troupe un senso di disorientamento che ha aiutato non poco il film.

Cosa possiamo dire del cast? Partiamo da Lola Kirk?
È un genio assoluto. È l’unico attore che ho inserito nel cast senza avere il bisogno di incontrarla di persona. E io di solito non scritturo mai nessuno senza prima averlo incontrato dal vivo. Lola mi ha mandato un provino video semplicemente incredibile. Al momento del casting non l’avevo ancora vista in Gone Girl – L’Amore Bugiardo (2014). Diventerà una grande star. È in grado di fare qualsiasi cosa.

E gli altri?
Lola per me funziona benissimo anche perché è vicina a Addison Timlin (Lucinda Price, N.d.R.). È vivace laddove Addison, invece, è la timida e giudiziosa. Secondo me sono una buona combinazione. Il casting è più di metà del lavoro per un regista. Sono molto soddisfatto anche di Harrison Gilbertson (Cam, N.d.R.), un giovane attore mio vicino di casa in Australia che ho visto letteralmente crescere. Penso molto bene anche di Sianoa, la sorella di Kodi Smit-McPhee (Scianoa è come ha pronunciato il suo nome Hicks nella nostra chiacchierata su skype, N.d.R.). La trovo super incisiva negli occhi.

In lei c’è qualcosa del lavoro di Argento sulle ragazze del collegio in Suspiria?
Assolutamente. È una strega. Tu pensa che ha dei capelli così lunghi che le arrivano oltre i fianchi. Quasi ai piedi. Proprio stregonesca. Ma io ho deciso di tagliarli e renderla ancora più terrificante e un pizzico più moderna.

Quindi confermi che l’idea era di mettere il fantasy solo negli ultimi minuti?
Sì. Perché l’idea era di aumentare il fantastico nei film successivi della saga. Questo doveva essere il film più terrestre e realistico del franchise. Nei prossimi film in teoria ci sarà più fantasy con le rappresentazioni del Paradiso e dell’Inferno. Diventerà enorme.

Visto che hai citato tu il futuro, cosa ci puoi dire della saga visto che la distribuzione è piuttosto misteriosa? Cosa ci puoi raccontare della distribuzione nordamericana?
Di solito tutti i territori internazionali dipendono sempre dalla distribuzione americana. Di solito funziona così. I produttori hanno lavorato molto duramente per mettere in piedi Fallen e, da indipendenti, sono riusciti a realizzare un film con budget da studio ovvero 40 milioni di dollari. Lo hanno finanziato attraverso la vendita nei paesi esteri lasciando il Nord America come territorio aperto e completamente libero. All’inizio sembrava una buona idea ma ora il problema è che i maggiori distributori nordamericani che hanno visto il film, e lo hanno adorato, devono essere comunque pronti a fare un certo tipo di investimento pari a 20-30 milioni di dollari di pubblicità per il marketing del film. Di solito si spende per la pubblicità interna sperando di rientrare con le vendite estere ma in questo caso è stato superato un passaggio a monte perché il film è stato prodotto… già grazie alle vendite nei paesi esteri. È una sorta di comma 22. I compratori esteri, avendo pagato già parecchio tempo fa, non vogliono più aspettare la distribuzione Usa e sono pronti a distribuire il film ora come è già successo in alcuni paesi dell’Asia e dell’America Latina. Non so che dirti. Io spero che si trovi una soluzione ma a dire la verità non pensavo che ci saremmo mai potuti trovare in una situazione come questa. Il franchise dipende dall’incasso di Fallen. Ovviamente.

Ma tu hai lavorato in vista del franchise?
Assolutamente sì. Non tanto a livello personale quanto piuttosto a livello generale. Mi spiego meglio: avrei potuto, come mi era stato consigliato, prendere nel cast i soliti 30enni che sanno fare benissimo i 17enni come da ottima tradizione hollywoodiana. Ho evitato di fare ciò perché, come spiegavo ai produttori, se lo avessi fatto… ci saremmo ritrovati con dei vecchietti per gli episodi successivi perché nella saga scritta da Lauren Kate… i nostri personaggi non invecchiano mai ma hanno sempre 17 anni! La mia strategia è stata di non andare mai sopra i 20 anni di età nel casting. E l’ho fatto proprio in un’ottica futura per avere degli attori non troppo invecchiati qualora si fosse dovuto andare avanti, a prescindere da me come regista.

Ma tu Scott, personalmente, proseguiresti?
Dipende dalla sceneggiatura. Perché no? La prima sceneggiatura mi ha convinto e mi ha ispirato per il casting. Quindi chiunque farà il prossimo film dovrà stare attento alla sceneggiatura. Che ti posso dire? Sì, mi piacerebbe continuare.

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