Il bilancio dei David di Donatello 2017 sta tutto nel fatto che tre film si sono spartiti le statuette, dividendosele sommariamente per premi artistici, premi tecnici e premi principali.
I premi artistici sono andati quasi tutti a Indivisibili, 6 statuette di cui solo 2 di quelle pesanti, cioè Miglior attrice non protagonista e Miglior sceneggiatura (Miglior produttore da noi, ahimè, conta così poco che non sono state nemmeno lette le nomination). I premi tecnici sono andati quasi tutti a Veloce Come il Vento, 6 statuette anche per lui con la notevole eccezione di quella per il miglior attore a Stefano Accorsi (in una categoria in cui, quest’anno, non era difficile vincere). La maggior parte dei premi più importanti invece sono andati a La Pazza Gioia, 5 statuette 3 delle quali al vertice, quelle per Miglior Attrice Protagonista (Valeria Bruni Tedeschi), Miglior Regia (Paolo Virzì) e Miglior Film. La più classica delle divisioni all’italiana: far vincere molto a qualcuno ma dare i più importanti a qualcun altro. L’abbiamo visto accadere tante volte, e questa non sarà l’ultima.

Quel che invece ha stupito del risultato finale di quest’anno sono due particolari.

Il primo è la forza con cui l’accademia dei David di Donatello ha voluto premiare un film come Indivisibili, presentato a Venezia con buone recensioni (ma non eccezionali) e passato in sala sotto silenzio, incassando in totale la cifra (ingiusta per quanto di buono il film faccia) di 278.000€. Un film praticamente sconosciuto e invisibile al pubblico, dai volti estranei (non ci sono star), e dalla storia ignota (nessuno la conosce), addirittura i cui punti di forza non vengono sbandierati, visto che solo Alessandro Cattelan nel monologo iniziale ha sottolineato che nel film ci sono due gemelle siamesi, dettaglio che già la cartellonistica del film colpevolmente trascurava. In un’annata non ricca di film di successo, uno dei meno visti è tra i trionfatori. I premi non dovrebbero certo essere figli degli incassi (per quello ci sono i Biglietti d’oro e va bene così) e Indivisibili merita almeno la metà delle statuette che ha vinto. Lo stesso una sproporzione simile colpisce e mostra bene quanto chi vota i David, cioè poco meno di 2000 giurati appartenenti al mondo dell’industria (attori, registi, produttori, giornalisti, premiati, tecnici ecc. ecc. l’elenco completo è qui), viva in un altro mondo rispetto a chi va in sala.

Il secondo particolare che ha sorpreso invece è che per il secondo anno di fila un film diverso dal solito prende moltissime statuette. Se La Pazza Gioia era la scelta facile da premiare, la crocetta semplice da mettere in ogni categoria per andare sul sicuro e Indivisibili il nuovo che non stupisce troppo, parente stretto del classico, Veloce Come Il Vento invece è un’operazione molto più audace e controcorrente per il monotono mondo del nostro cinema. Dei tre vincitori della serata il film di Rovere è probabilmente quello che più deve andare fiero del risultato: dei suoi 6 premi nemmeno uno è fuori posto, nemmeno uno è rubato a qualcuno che meritava di più.

antonia-truppo

Dopo la valanga di premi a Lo Chiamavano Jeeg Robot dell’anno scorso (scritto anche da Nicola Guaglianone che quest’anno si è confermato l’uomo nuovo firmando la sceneggiatura di Indisivibili), una buona parte del sistema-cinema italiano conferma di nuovo di essere affamato di queste novità, di voler nobilitare, promuovere e avallare questo tipo di cinema, quello che una volta ai premi maggiori nemmeno veniva candidato. Quello più vicino al pubblico e meno borioso. Lo si disse l’anno scorso e lo si ripete oggi, film come Veloce Come Il Vento o Lo Chiamavano Jeeg Robot sono la direzione in cui il cinema italiano (inteso come il complesso di chi lo fa) vorrebbe tantissimo andare, testimoniando come, checchè se ne dica, esiste una grandissima porzione dell’industria che ha ben chiare le priorità necessarie per riconquistare pubblico e rimettere al centro di tutto il godimento dell’esperienza in sala.

In tutto questo dispiace per Fiore, film bellissimo che meritava di più di vincere una statuetta sola e solo nella categoria in cui aveva un nome pesante (Miglior Attore Non Protagonista, Valerio Mastandrea), ma soprattutto dispiace per Liberami che nella categoria Miglior Documentario è stato superato dalla ruffianeria di Crazy for Football. È evidente che, come per gli Oscar, il problema principale in certe categorie è che non tutti i giurati hanno visto tutti i film e che per vincere la cosa più importante è quindi farsi vedere. Ma che un film come quello di Federica Di Giacomo, così importante, divertente, bello, assurdo, potente, tradizionale e innovativo al tempo stesso, uno che per giunta vanta anche la vittoria della sezione Orizzonti di Venezia e che di certo ricorderemo per decenni, abbia dovuto cedere il passo ad un’opera estremamente più convenzionale e dall’appeal facile facile è davvero (scusate il termine, davvero) “scandaloso”. Forse per alcune categorie sarebbe auspicabile una giuria ristretta. Gli Oscar in certi casi lo fanno, non c’è da vergognarsene.

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