Hayao Miyazaki sostiene che un artista non abbia più di dieci anni di vera creatività, di apice, dopo i quali si ripete. Totò ha lavorato nel cinema italiano per 30 anni, dal 1937 all’anno della sua morte, il 1967. Ha realizzato una quantità impressionante di film raggiungendo punte di 7-8 all’anno nel periodo di massima attività. Così tanti che la qualità media spesso era diluita dalla ripetizione, dai tempi stretti e da una certa rapidità d’esecuzione. La maggior parte di ciò che si ricorda non a caso sono scene, momenti, invenzioni prese da film che magari hanno solo quello. Solo in alcuni sparuti casi interi film possono essere considerati memorabili.

Ci sono però 6 anni della carriera di Totò in cui il suo talento ha bruciato più in fretta e con maggiore intensità degli altri, 6 anni in cui si sono concentrate le collaborazioni migliori, si sono sovrapposti i film con Peppino De Filippo e Aldo Fabrizi, quelli di Vittorio De Sica, di Steno, di Bolognini e di Monicelli, parti epiche come cammei indimenticabili. I sei anni che hanno definito Totò nella memoria collettiva ma soprattutto nell’eredità artistica.
È il periodo dal 1954 al 1960, già oltre l’epoca del successo oceanico, quando Totò era già una macchina da incassi inarrestabile, diviso tra cinema comico e una serie di film che iniziavano a considerarlo anche una maschera drammatica.
Dopo quei 6 anni arriveranno le collaborazioni più clamorose come quelle con Pasolini, ma è lì che nasce la complessità della figura di Totò.

1954

Nonostante era un anno prima di questo periodo, nel 1953, che Totò aveva lavorato con Orson Welles nell’adattamento di Pirandello, L’Uomo la Bestia e la Virtù, è solo l’anno dopo che inizia davvero la parte complessa della sua carriera. Tutto a partire da Roberto Rossellini, anzi senza Rossellini, con Dov’è La Libertà?, film che in forma di commedia fa un racconto amarissimo della società. Totò è un barbiere che esce di galera dopo aver scontato una pena lunga per aver ucciso un uomo che insidiava sua moglie. La vita fuori dalla galera sarà un inferno di meschinità, cattiveria e profittatori che gli farà rivalutare l’idea di tornare in carcere, dove in fondo non si sta così male. Un gioiello scritto da Flaiano e Pietrangeli a cui Rossellini ad un certo punto sì disinteressò. Fu necessario un pool di amici e collaboratori per arrivare alla fine. Monicelli prima, poi Fulci per alcune scene e infine (sembra) anche Fellini portarono a termine il film. Così eterogeneo è un miracolo che non sia venuto un disastro ma nella maniera moderata con cui Totò sfiora il dramma, evita il patetico, mantiene la plasticità comica in una storia che non lo è annuncia tutto ciò che verrà. Si veda nella clip qua sotto come lavora con i non attori per creare un senso di intimità, di confidenza e armonia nella galera.

Nello stesso anno, sempre il 1954, gira Miseria e Nobiltà, un classico intramontabile, una sicurezza, un cavallo di battaglia da lì in poi e parallelamente partecipa al film collettivo L’Oro di Napoli di Vittorio De Sica. Sono film come altri in quel momento ma dalla fortuna e la capacità di inserirsi nell’immaginario collettivo superiori alla media. Da lì è il turno di un’altra produzione sfortunata con Monicelli, Totò e Carolina, massacrato dalla censura per eccesso di critica sociale. Non era come Dov’è La Libertà?, una commedia d’argomento serio, ma una commedia pura con qualche frecciatina di troppo e questo non viene perdonato. La farsa associata alla critica così esplicita, fatta a parole e non con il contesto come era uso al cinema italiano è impietosamente repressa.

1956

A partire dal 1956 iniziano i film in coppia con Peppino De Filippo, la collaborazione più nota e feconda in assoluto. I due avevano già lavorato su tre set diversi ma è con La Banda degli Onesti e Totò Peppino e… la Malafemmena (stesso anno!) che viene sperimentato e poi consolidato il “format”. Sono film molto poco scritti, in cui la situazione pretesto serve solo a mettere insieme i due che improvvisano molto, deviano subito dal canovaccio e si intendono benissimo incontrando oltre alle malafemmene anche fanatiche, fuorilegge e via dicendo. A dirigere c’è quasi sempre Camillo Mastrocinque, l’impegno è bassissimo, la cura del dettaglio attorno ai due pure, ma il successo è senza paragoni sia all’epoca che oggi. La maggior parte degli estratti e delle scene che si ricordano di Totò viene dai film che i due hanno girato in questi sei anni. È il materiale che più sarà influente sugli attori comici delle generazioni a venire, l’apoteosi del Totò comico, della sua mimica e del suo umorismo.

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1958

È però il 1958 l’anno in cui la sua stella brilla più splendente che mai. Reduce da una serie di film che hanno fatto sfaceli al boxoffice, Totò ha superato qualsiasi frontiera e nonostante continui a non avere il riconoscimento critico che mai gli verrà concesso in vita è considerato nell’ambiente e dal pubblico come il massimo. Arriva così una partecipazione, un cammeo in un film dell’amico Monicelli, un ruolo piccolo ma perfetto per la star quale è: il maestro scassinatore di I Soliti Ignoti. A 60 anni di distanza quella partecipazione sembra premeditata per fare del film quel che è poi stato, il simbolo stesso del genere principe dell’epoca (praticamente canonizzato da Mario Monicelli): commedia all’italiana. Con un cast di future star del cinema italiano che va da Vittorio Gassman, per la prima volta in un ruolo di commedia, a Mastroianni, pronto a fare il salto da seconda a prima fila del cinema con La Dolce Vita, al mestierante Renato Salvatori e Claudia Cardinale al suo debutto, più una schiera incredibile di caratteristi (da Memmo Carotenuto a Tiberio Murgia), I Soliti Ignoti sembra fatto per essere visto a posteriori come la migliore spiegazione di cosa fosse il cinema italiano di quegli anni. Per questo il cammeo del padre di tutti, Totò, nel ruolo del mentore sembra pensato con il senno di poi. Un cammeo all’americana, di quelli che danno più prestigio a chi lo fa, che al film che ne abusa.

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1959

Nel 1959 è la volta di un ritorno al successo classico, I Tartassati, uno dei migliori dei moltissimi film che Totò ha girato con Steno, forse il più concreto e diretto di quelli in coppia con Aldo Fabrizi, di certo quello in cui Fabrizi è più spalla. A differenza dei film con Peppino infatti i due non sono mai compari ma sempre rivali e qui sono uno ispettore del fisco e l’altro proprietario di un negozio, un trionfo di malcostume, coda di paglia e tentativi di corruzione. C’è anche l’attore comico francese Luis De Funes in un ruolo centrale che tuttavia rimane inevitabilmente in secondo piano. Questo film è un Totò-show che non fa sconti e si vede bene nella clip qui sotto in cui sembra che lavorino tutti per lui. Qui Totò dipinge un mondo molto reale, non si diverte a mettere l’attore in una situazione strana ma al contrario crea una situazione in cui egli possa mettere in scena il peggio degli esseri umani.

Nello stesso anno poi un’altra collaborazione segna una piccola svolta. Il film è Arrangiatevi! di Mauro Bolognini, protagonista è Peppino De Filippo, una storia drammatica in forma di commedia, di un padre che cerca disperatamente una casa per la sua famiglia tra truffe e sistemazioni non rispettabili. Totò è il nonno della famiglia che condivide la casa iniziale, quella da abbandonare. Ancora un ruolo di spalla fortissimo in un film di grande livello. Quel movimento iniziato con Dov’è la libertà?, quello di lavoro con autori diversi, più elevati e per certi versi snob, crea una complessità tale nella figura di Totò che anche il grandissimo pubblico sembra pronto.

1960

Nasce così nel 1960 Risate di Gioia, film molto moderno e complicato che mentre alleggerisce Anna Magnani, dandole una parte piena di umorismo e macchiette, appesantisce Totò, coprotagonista in una parte amarissima. I due sono due mezze tacche di Cinecittà che vagano nella notte di capodanno, sostanzialmente soli ma vogliosi di festeggiare o almeno far pensare tutti che lo stiano facendo, che non stiano messi male come sono, che qualcuno ancora li vuole e li cerca. Come nel neorealismo i due attraversano Roma, diversi locali, strati sociali, situazioni e personaggi, ma come nella commedia all’italiana conta più il loro substrato di provenienza degli eventi. Chi sono? Come vengono trattati dalla società? E questo come influisce su quel che loro fanno?
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Totò crea il clown triste, ancora più che in Dov’è La Libertà? qui la sua maschera sembra piccina, dimessa, gobba, uno scricciolo che regala lampi di comicità ma macera nella disperazione. Una saggio di recitazione, gioca di sponda accanto alla furia di Anna Magnani, pronuncia metà delle sue battute ad un terzo del suo volume ma ne esce a testa alta (si veda la clip sotto, a 3.10, quando lei gli chiede di dare uno schiaffo ad uno e lui se ne esce con la risposta più comica, piccina e improbabile di sempre). Come non essere schiacciati da un gigante senza fargli la guerra.

Dopo questi 6 anni ci saranno ancora moltissimi ottimi film, come del resto ce ne sono di memorabili anche prima. Eppure è questo periodo quello che concentra la formazione della figura di Totò come artista complesso, non quello che lo ha fatto conoscere, non quello che lo ha affermato, né quello in cui è nata la sua comicità, ma quello di maggiore fermento in cui il cinema ha cominciato, lentamente, a capire le sue potenzialità.