La settantesima edizione del festival di Cannes non è stata propriamente memorabile sia dal punto di vista dei film presentati che da quello dell’organizzazione.
In virtù del suo statuto tendiamo sempre a giustificare molto e a sopportare altrettanto da questo festival ma in questa edizione alcuni problemi (o vere e proprie truffe pubblicitarie) hanno raggiunto livelli così evidenti da lasciar pensare che se lo stesso fosse accaduto altrove, in un altro festival internazionale di primo piano (figuriamoci se italiano!), si sarebbe gridato alla vergogna e alla brutta figura davanti al resto del mondo.

Tutti i festival sono complicati da organizzare. Lo sono molto quelli piccoli, di provincia, figuriamoci quelli grandi che devono dare retta a star immense con un potere immenso, a produttori grossi con potere grosso e ad una valanga di accreditati boriosi che pretendono di non attendere nemmeno un attimo, pretendono di entrare tutti alla prima proiezione e pretendono il funzionamento svizzero di tutto. Non c’è bisogno di sottolineare che qualche problema è normale, fisiologico, accettabile. L’intento qui è però invece illuminare quelle ampie zone d’ombra in cui il festival è andato in deroga ai livelli minimi accettabili di etica, correttezza e logistica per il proprio interesse.
Oppure, a seconda di come leggerete tutto questo, quanto anche all’estero (soprattutto all’estero) certe cose non funzionino proprio per niente.

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1. Twin Peaks

Lo avevamo sospettato tutti che vista la messa in onda durante il festival e visto il rapporto tra Lynch e Cannes, la terza stagione di Twin Peaks sarebbe stata presentata qui, nonostante lo storico ed atavico rapporto di diffidenza verso le serie tv del festival.
Così quando è stato annunciato come fuori concorso nessuno si è sorpreso. Semmai la sorpresa è arrivata a pochi giorni dall’inizio quando è stato pubblicato online il programma giorno per giorno con gli orari delle proiezioni e abbiamo scoperto che Twin Peaks al festival non ci passava in anteprima ma ben 4 giorni dopo la messa in onda. E per giunta arrivati abbiamo scoperto che nessuno della serie avrebbe fatto attività stampa, nemmeno una conferenza! Solo tappeto rosso.
In parole povere chi era a Cannes ha visto la serie dopo tutto il resto del mondo e non ha nemmeno potuto parlare con il creatore o gli interpreti.
Valore aggiunto al festival: zero. Solo articoli di colore e la fenomenale commozione di Lynch.

 

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2. Sicurezza

Quello di Cannes, per molti motivi, è il festival con la sicurezza più alta. Non solo perché la riviera francese già è stata colpita da attentati, ma anche perché è il più affollato e popolato del mondo. In particolare il Palais du Festival è sede di 5-6 sale proiezione grosse, di 3 sale per la stampa e di tutto il mercato.
Da un paio di anni oltre ai soliti controlli delle borse ad ogni ingresso e ai metal detector “a mano” (quelli a paletta) ci sono anche quelli più seri “a porta”, come negli aeroporti. Da quest’anno poi sono presenti anche all’ingresso in sala, cosa che ha creato non poche difficoltà e ritardi.
La componente inaccettabile però non è questa, non è come nei primi giorni molte persone siano entrate a film iniziato perché i controlli rallentavano tutto (poi sono andati a regime), quello è abbastanza normale e molto accettabile vista la ragione per cui avvengono. La componente inaccettabile è che ci sia tutto questo trambusto, ritardo e file in più (come non se ne facessero) e poi i controlli di fatto non siano effettuati. Come siano solo una facciata. Si passa sotto il metal detector, questo suona e si viene lasciati passare per non intralciare o ritardare la fila. Al massimo viene chiesto “Ha delle chiavi in tasca?” e se la risposta è “Sì” nemmeno controllano. Tutto falso. Pura apparenza per lavarsi la coscienza.

 

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3. Carne Y Arena

La Fondazione Prada ha affidato a Iñarritu e al suo direttore della fotografia abituale, Emmanuel Lubezki, un corto in realtà virtuale che in realtà è un’installazione artistica, in cui si entra, si esplora il cortometraggio in un ambiente sabbioso come i luoghi della storia e in cui si passa vicino ad una parte di muro originale tra messico e Stati Uniti. Un’opera complessa insomma.
Carne Y Arena è stato portato a Cannes come un’infinità di altri progetti o film che chiunque voglia può far vedere a chi desidera, affittando uno spazio in loco. Una cosa che si fa (anche perché c’è il mercato) e che non ha niente a che vedere con il festival in sè, basta affittare un appartamento o simili, liberi di invitare chi si ritiene opportuno.
Il festival però sia nella conferenza stampa che in tutta la comunicazione ufficiale si è appropriato di Carne Y Arena e del suo talent, Iñarritu, facendone una cosa propria. A differenza degli eventi della selezione ufficiale però, Carne Y Arena non era accessibile a tutti gli accreditati ma solo a chi era invitato dalla Fondazione Prada. Insomma era nel festival (in teoria) ma decideva Fondazione Prada chi poteva avervi accesso; era nel festival (in teoria) ma per fruirne occorreva recarsi a mezz’ora di macchina dal Palais.
Di fatto quindi Carne Y Arena non era a Cannes (il festival), era a Cannes (la città), ma Fremaux e soci hanno finto che fosse l’opposto davanti al resto del mondo.

 

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4. Gestione dell’emergenza

Come molti di voi avranno letto c’è stato ad un certo punto una specie di allarme. Prima della prima proiezione per la stampa di Le Redoutable di Michel Hazanivicius la security è uscita e ha comunicato a chi era in fila che era tutto annullato e si stava provvedendo ad evacuare il Palais (cosa che è effettivamente avvenuta). Si tratta di una procedura standard e corretta. A prescindere da quale fosse il sospetto o l’allarme in questione pare la soluzione migliore evacuare, controllare e poi riprendere l’attività.
Tuttavia il festival prima ha detto che era stata annullata la proiezione, poi invece dopo 30 minuti lo stesso Fremaux in persona è sceso precipitosamente dalle scale per richiamare chi non se n’era andato del tutto (metà degli accreditati) e la proiezione è partita con 30 minuti di ritardo. Con buona pace di tutti quelli che diligentemente invece se ne erano andati credendo davvero che quel che dice la sicurezza, specie in caso di annullamento della prima proiezione (la più importante perché quella che consente di scrivere prima degli altri o poter fare le interviste avendo visto il film), fosse vero. Un tira e molla e una gestione dell’emergenza ridicola che ha danneggiato molti e ha dimostrato quanto poco il festival, a fronte di tanta sicurezza sbandierata, fosse pronto.

 

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5. La questione Netflix

Inutile stare ancora a discutere se sia giusto o meno che Cannes chiuda o apra le sue porte ai film che non vengono distribuiti per nulla in sala in Francia. Più utile è semmai sottolineare la maniera in cui tutto è stato gestito.
Era evidente che una questione del genere avrebbe generato molte discussioni, perché raramente si mette in crisi il sistema della selezione di un grande festival e perché quella dell’arrivo di player così nuovi, radicali ed economicamente potenti, è una questione più grande che interessa tutti.
Il festival però prima ha dovuto litigare e sottostare agli esercenti francesi (un festival che, vale la pena ricordarlo, è una manifestazione di importanza mondiale), poi ha annunciato un cambio al regolamento dall’anno prossimo prima che partisse questa edizione, di fatto mettendo in una situazione non facile i film in questione (“Siete qui ma per un errore, dall’anno prossimo non vi faremo più venire”) e poi ha messo la ciliegina sulla brutta figura grazie ad Almodovar, che ha dichiarato in maniera non troppo velata di non voler vedere (e quindi premiare) una Palma d’Oro che non sarebbe passata in sala. Gli ha detto bene che The Meyerowitz Stories e Okja non fossero opere memorabili e nessuno si sia scandalizzato che siano rimasti a bocca asciutta, ma certo avere dei film in concorso e annunciare che non saranno più graditi dall’anno prossimo nè premiati quest’anno è abbastanza ridicolo.

 

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