È il giorno di Gabriele Salvatores al Giffoni Film Festival 2017.

In attesa della masterclass pomeridiana condotta da Gianmaria Tammaro, il premio Oscar per Mediterraneo si è intrattenuto con i giornalisti per una conferenza stampa a senso piuttosto unico. Si è parlato molto del suo prossimo film. Come era prevedibile nel contesto del Festival nato e pensato per il pubblico dei più giovani.
Ad avvalorare la centralità del secondo capitolo Il Ragazzo Invisibile: Seconda Generazione nella visita di Salvatores a Giffoni, l’attore Ludovico Girardello ha partecipato alla conferenza in compagnia del regista di nascita partenopea. Si prevede un’uscita in sala nella prima metà di gennaio 2018.


Come sarà Il Ragazzo Invisibile: Seconda Generazione dal punto di vista stilistico e sono previste operazioni multimediali collegate?

Salvatores: Ci sono tutta una serie di iniziative parallele come per il primo episodio. C’è, ad esempio, una nuova graphic novel. Noi italiani facciamo cose bellissime ma non le sappiamo vendere. Ci sarà un libro, un secondo capitolo sempre edito dai tipi della Salani e altre iniziative da mettere a punto. La differenza stilistica con il primo film è rappresentata dal fatto che Michele (Ludovico Girardello) è cresciuto e ha passato quella che Conrad definiva la linea d’ombra ovvero il passaggio alla maturità. Si porterà dietro un grosso senso di colpa, una sorellina infiammabile e il conflitto con due madri: una biologica e l’altra adottiva. Sarà un film più dark senza perdere la gioia. Mentre il primo era più lineare, qui abbiamo abbandonato lo storytelling più classico per seguire di più le emozioni del ragazzo. A volte il film ha un andamento emotivo più forte del primo film.

Che cosa ti rimane di questa avventura?
Girardello: Gabriele è stato il mio secondo regista perché la prima persona che mi ha diretto è stata mia sorella. Le differenze sono tante. Mi è rimasto il divertimento di farlo. Il primo film era: “Andiamo a giocare”. Sul set mi distraevo in continuazione. Con il secondo film, il gioco è diventato più serio.

Nirvana è stato il suo primo approccio alla fantascienza. Che cambiamento c’è stato da allora?
Salvatores: Nirvana è di 20 anni fa. Quando uscì nel 1996 il pubblico non sapeva che cosa fosse un virus elettronico, non si conoscevano le potenzialità della rete e non c’era la tecnologia di adesso. L’approccio alla fantascienza mi viene naturale fin dal teatro. Antonio Gramsci diceva che per capire la realtà non basta la ragione. In particolar modo oggi, periodo storico in cui la differenza tra finto e reale è sempre più difficile da distinguere. Il cinema ha il grande potere di trasformare le ombre proiettate sul muro come se fossero forme diverse, come diceva Platone. Derrida diceva che il grande potere del cinema è rievocare fantasmi. Ci tira fuori qualcosa da dentro noi stessi. La sala cinematografica non morirà mai proprio per questo motivo.

Può descrivere più dettagliatamente le caratteristiche del secondo capitolo de Il Ragazzo Invisibile?
Salvatores: Continuiamo a giocare con i supereroi ma vogliamo raccontare anche altre cose. Nel secondo film ci sono 700 interventi digitali. Abbiamo usato una tecnologia che permette di ricreare in 3d personaggi, oggetti e scenografie. Alcuni attori saranno veri, altri saranno una copia digitale. Queste possibilità cambieranno il modo di fare cinema, sperando che non si perda l’umanità delle persone. Gli effetti speciali sono solo colori su una tavolozza ma se non sai disegnare, è impossibile che tu li possa usare bene.

Con quali sentimenti dovrà fare i conti questo nostro supereroe intimista ed esistenzialista?
Salvatores: Nel primo capitolo c’era la scoperta di essere invisibile, una cosa che abbiamo provato tutti noi sia perché nessuno magari ci “cagava”, sia perché volevamo essere invisibili. Nel secondo film è molto più complicato perché c’è il problema di come usare il superpotere. C’è uno scontro tra speciali e normali e questa cosa apre una serie di riflessioni circa il nostro quotidiano. Tempo fa abbiamo chiesto ai ragazzi di scrivere dei temi che potessero immaginare il seguito de Il Ragazzo Invisibile. Le paure più forti che erano emerse da questo sondaggio erano: 1) sono veramente il figlio di mia madre? 2) terrorismo. Abbiamo inserito questi due temi nel secondo film. Dov’è il confine tra il giusto e l’ingiusto? Tra il bene e il male? È un film più intenso e complicato.

Quanto sarà lungo?
Salvatores: Paradossalmente è venuto molto più corto (dura 1 e 30). È più spettacolare del primo ma anche più introspettivo. Anche io sto cercando di capire bene cos’è. Ne sono innamorato. È un film più libero e molto onirico.

Il Ragazzo Invisibile parla di scomparire in un’epoca in cui l’invisibilità è temuta dai giovani. Era una scelta?
Salvatores: Il motivo per cui abbiamo scelto quel superpotere era proprio per andare contro il desiderio di presenzialismo che vediamo ora trionfare tra i giovani.

È interessato alle serie tv dopo l’esperienza dietro le quinte per Quo Vadis Baby per Sky?
Salvatores: Le serie tv sono oggi fondamentali perché aprono il racconto. Seguono l’andamento delle nuove tecnologie. Prima o poi mi piacerebbe farne una. Certo.

Immagina un possibile incontro con l’universo di Lo Chiamavano Jeeg Robot?
Salvatores: Tecnicamente non ci sarebbero problemi. Abbiamo questa possibilità. Non è un problema tanto per i produttori quanto per l’esercizio cinematografico che dovrebbe avere meno paura in questo senso. Se tu fai sempre la stessa cosa, il pubblico si stanca. La cosa importante è continuare a sperimentare se vuoi rimanere interessante. Crossover? A me interesserebbe.

Sta già pensando a un terzo capitolo?
Salvatores: C’è l’apertura per un terzo film come da regole non scritte di saga. Dipende da come cresce Ludovico. Se tra due anni sarà ancora così interessante, bene. Altrimenti lui farà la sua strada e io la mia.

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