Non si può non ammirare Christopher Nolan e la sua dedizione alla causa che in molti altri come lui sostengono (“Il cinema è la sala” per riassumere).

È un interesse sincero, onesto ma quanto più conta: coerente.

Christopher Nolan non lavorerà mai con Netflix perché, come il resto del mondo, ha capito che Netflix è nel business dei film ma non in quello delle sale e, anzi, gli fa aperta concorrenza, sfruttandole se necessario (con le sue piccole distribuzioni). È ovvio che Nolan appartenga alla schiera dei privilegiati, i registi che possono permettersi di non lavorare con qualcuno, che hanno solo l’imbarazzo della scelta, ma è anche vero che proprio chi è nella sua posizione è solitamente timoroso a prendere una posizione netta, mentre lui su questa materia l’ha presa.

Detto questo e manifestata l’indubbia stima per Nolan e la sua coerenza (come sapete impone l’uscita dei suoi film anche in formati analogici, gira in IMAX, fa di tutto per arricchire l’esperienza in sala e se proprio deve scegliere a casa guarda un blu-ray al posto di Netflix), va anche detto che Nolan bara, riporta informazioni tra il falso e il male interpretato e fa di tutto per portare l’acqua al mulino della sua causa.

Non è che abbia torto. In questo dibattito tra sala e online nessuno ce l’ha, è che nella nota intervista a Indiewire ha travisato alcuni fatti per avere indubitabilmente ragione e poter dire che la strategia di Netflix è senza senso. Ovviamente un senso ce l’ha (chiedetelo al commercialista di Reed Hastings) è che a Nolan fa comodo modificare i fatti per far sembrare che non sia così. Che è una strategia retorica, si chiama “argomento fantoccio“, ovvero riportare il parere o l’atteggiamento della controparte modificandolo quel tanto che basta per renderlo più estremo o insensato e quindi più facilmente attaccabile. È come quando in un dibattito politico uno accusa l’altro di “voler impoverire tutti!” così che sia più facile dargli contro.

Hanno questa politica insensata secondo la quale tutto deve essere simultaneamente diffuso e fruito in streaming, un modello chiaramente insostenibile per un’adeguata presentazione e proposta cinematografica

Per quanto criticabile (se la pensate come Nolan) il modello di Netflix non è insostenibile. Soprattutto dire “è insostenibile per un’adeguata presentazione in sala” fa ridere, perché Netflix (in molti casi) proprio non ci pensa alla presentazione in sala, dunque non vuole essere sostenibile da quel punto di vista. Nolan sicuramente intendeva dire che a lui non interessa Netflix perché non prevede la sala o se la prevede non lavora sulla distribuzione seriamente, ma esprimendosi così chiaramente gli fa un doppio torto.

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Ritengo che gli investimenti fatti da Netflix per coinvolgere in progetti interessanti dei filmmaker altrettanto interessanti sarebbe più ammirevole se non venisse impiegato come un bizzarro strumento usato a proprio vantaggio come contrappeso alla chiusura dei cinema.

 

Anche qui fa un po’ sorridere la scelta delle parole. Non è un “bizzarro strumento” l’investimento che fa Netflix né dovrebbe meravigliare nessuno che sia utilizzato a proprio vantaggio (sono investimenti loro del resto). È proprio questo atteggiamento di fortissimo stupore e fasulla voglia non di capire Netflix che rende meraviglioso Nolan. Per tutta l’intervista simula di non comprendere che a Netflix la sala non interessa e quindi li accusa di non ragionare per il bene dell’esercizio.
È ovvio che il bene di Netflix non è necessariamente il contrappeso della chiusura dei cinema. Per quanto questi ne possano risentire Netflix non ha interesse a contrastarli, semplicemente non gli interessa se il suo business ha un effetto negativo, come non gli interesserebbe se ne avesse uno positivo. Per Netflix non c’è una concorrenza, loro sono in gara con le tv via cavo, con gli altri canali e più in generale con i videogiochi e gli intrattenimenti domestici. È semmai il cinema a soffrire il fatto che l’intrattenimento in casa (ambito che Netflix ben rappresenta) è sempre migliore e più invitante. L’idea che solo per questo motivo Netflix dovrebbe collaborare con le sale è risibile.

Perché dovrei [lavorare con loro ndr]? Se fai un film per il cinema, si suppone che venga proiettato in sala.

E questo è finalmente qualcosa di obiettivo. Fare un film per il cinema non è possibile con Netflix. Ma questo non significa che fare un film per Netflix non sia fare un film o che non possa avere una distribuzione in sala limitata e magari di qualità. Non significa che non possa essere qualcosa di molto bello e interessante, che non riceva attenzione, che non vada ai festival (tranne Cannes, ovviamente), che non se ne parli, venga visto ecc. ecc.
Ma questo serve a Nolan per arrivare all’ultima affermazione:

Sono cresciuto negli anni ’80, decade che ha visto la nascita dell’home video. Negli anni ’90 l’incubo peggiore per un filmmaker era vedere i responsabili di uno studio dire “Sai cosa? Il tuo film lo distribuiremo direttamente in home video”. Storia ben nota. Ora c’è l’idea, molto da Silicon Valley, che Netflix stia in qualche modo interrompendo un meccanismo di distribuzione già esistente e tutto questo ha assegnato una sorta di futuristico valore aggiunto a un modo di agire che, in realtà, è sempre stato il più basso comun denominatore nell’industria. Se Netflix producesse un gran film dovrebbe proiettarlo nei cinema e poi, dopo 90 giorni, proporlo in streaming.

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È tutto vero. O meglio lo era. Nolan finge di non sapere che non è più così, che una volta lo straight to video era un’opzione a budget minuscolo che non interessava a nessuno, ora invece ha ottimi budget e interessa a molti. Finge di non sapere che non era la destinazione televisiva in sé a rendere l’home video una seconda scelta per i registi ma i budget e la campagna promozionale ad esso legata.
Senza contare che una volta i televisori non erano quelli di oggi. Il che ci porta alla seconda questione.

La qualità delle sale

La cosa più incredibile del dibattito su sala e streaming è il fatto che tutti quelli che lo fanno (scrivendo, parlando, commentando o anche solo leggendo) non hanno niente contro la sala, tutti, dal primo all’ultimo, hanno a cuore le sale. Alcuni le difendono a spada tratta, altri magari vedono il loro tramonto come inevitabile, altri ancora auspicano un futuro di convivenza, tutti però, chi più e chi meno, piangerebbero la loro morte. Nel dibattito manca davvero l’altra parte, cioè chi al cinema non ci va.
La nostra è una piccola bolla, la piccola bolla di chi è davvero interessato per lavoro o per passione al cinema. Che non è la totalità del pubblico delle sale, anzi! Ne è una piccolissima percentuale che non smuove nulla, non decide niente né è in grado di orientare alcunchè.

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Da questo ne viene che anche un altro dei corollari di questa polemica, quello per il quale le sale sono posti spiacevoli malgestiti, la cui qualità lascia a desiderare e quindi superate dal consumo casalingo (sempre Indiewire se n’è fatto portatore parlando dei cinema statunitensi ma in Italia lo andiamo ripetendo ugualmente da tempo), è ridicolo. Ricordiamo tutti le sale di 10 anni fa, alcuni ricordano quelle di 20 anni fa, altri quelle di 30 anni fa, altri ancora quelle di 40 o 50 anni fa. E non erano migliori. Anzi!

Fermo restando che è sempre opportuno invocare una cura maggiore dei cinema, perché sono posti che frequentiamo e tutti vorremmo fossero migliori, sappiamo anche che non è quello il motivo per cui attirano sempre meno. Non sono i sedili con i buchi (una volta ci si portava le sedie da casa nelle sale peggiori, mentre in altre i sedili erano di legno), non sono le proiezioni con mascherini sbagliati (una volta era all’ordine del giorno anche nei cinema al centro di Roma), non sono le proiezioni con audio gracchiante o claudicante (una volta, nelle monosale, si rischiava tranquillamente di capire poco i dialoghi), non è il pubblico fastidioso (una volta esistevano le seconde e terze visioni in cui si gridavano improperi allo schermo e tutti le frequentavano) né infine sono i mille piccoli fastidi che possono dare alla testa al cinefilo, l’amante, chi frequenta molto i cinema ed è (giustamente) puntiglioso. Perché il mito della qualità non è d’interesse per molti.

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Quel che ha sempre interessato il pubblico (preso nella sua accezione più generica possibile) è una ragione per spendere. Il cinema è stato per decenni l’intrattenimento popolare urbano per eccellenza, non aveva concorrenti. Sappiamo bene che la televisione con il suo arrivo ha abbattuto una fetta ampissima di consumo cinematografico, e questo già negli anni ‘70 e ‘80. Ora che la casa è il tempio delle serie tv, che di certo possiamo dire che hanno una costanza maggiore del cinema (garantiscono qualità molto di più di quanto possa fare il cinema) e dei videogiochi (che impegnano e appassionano secondo tutta un’altra scala) è evidente che un’altra fetta venga erosa.

E questo pure se la proiezione è migliorata (grazie al digitale), l’audio è migliorato (le casse potranno pure gracchiare ma almeno è un suono avvolgente e serio nella maggior parte dei cinema) e le sale sono meno dispersive (morendo la monosala, le sale diventano più piccole e non c’è il rischio di finire in posti da cui si vede male), senza contare che andare al cinema è più comodo di fatto, perché una volta si andava tantissimo prima, si faceva molta fila per una cassa unica e in caso di film molto attesi c’era il rischio di non entrare, oggi no, si prenota online e se proprio non si entra al massimo si vede un altro film. Il motivo per cui i cinema attraggono sempre meno sono i film.

Il cinema oggi è migliore di ieri, ma non è più l’intrattenimento migliore disponibile per il pubblico. È il migliore solo per chi è appassionato di quella maniera di fare racconto audiovisivo. Una nicchia non piccola (i numeri che sviluppano i film non sono certi piccoli) ma pur sempre una nicchia.

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