Parte il 12 Agosto con Monolith di Ivan Silvestrini l’attività di Vision Distribution, la nuova distribuzione italiana frutto dell’accordo tra Sky e 5 società di produzione italiane (Cattleya, Indiana, Lucisano Mediagroup, Palomar e Wildside). A dirigerla c’è Nicola Maccanico, fuoriuscito da Warner Bros Italia appositamente.

L’idea è quella di creare la distribuzione che non c’è e di partire il più forte possibile (anche per questo motivo Vision ha annunciato una partnership con Medusa in virtù della quale si potrà avvalere della loro rete di sale “Loro rafforzano noi, ma anche noi rafforziamo loro” ha commentato Maccanico). La distribuzione che non c’è sarebbe una più moderna, capace di lavorare sui film diversamente da come viene fatto oggi in Italia (questa è un’esplicita richiesta dei 5 produttori). Anche per questo motivo Vision punta ad un catalogo ristretto, per non affollare le sale di film e lavorare bene su ognuno di essi. Il riferimento implicito che nessuno fa qui è a 01 Distribution, che invece negli ultimi anni ha messo in sala un film ogni due settimane circa, non riuscendo a seguirli tutti come si dovrebbe.

Il catalogo iniziale prevede, oltre a Monolith, anche tre commedie targate Lucisano tra cui ci sono due debutti: 9 Lune e Mezza, di Michela Andreozzi con Claudia Gerini, Lillo e Giorgio Pasotti; Cose Che Succedono di Augusto Fornari con Matilde Gioli, Stefano Fresi, Libero Di Rienzo e Lino Guanciale; e Il Premio di Alessandro Gassman, con lo stesso Gassman, Gigi Proietti, Anna Foglietta, Rocco Papaleo e Matilda De Angelis.
Chiude il catalogo italiano Lui È tornato (remake dell’omonimo film tedesco con Hitler che spunta nel nostro presente, adattato al nostro fascismo), di Luca Miniero, scritto da Nicola Guaglianone per Indiana.

A dimostrazione del fatto che Vision non intende distribuire solo titoli dei propri soci ma muoversi anche sul cinema straniero è stato annunciato il dramma femminile Colette con Keira Knightley (questo distribuito in partnership con Good Films)

Sentendo i produttori che hanno dato vita al progetto mi pare che Vision nasca da un’insoddisfazione per la distribuzione italiana…

No, non penso siamo nati da un’insoddisfazione ma dal desiderio di provare a fare cose diverse, cambiare innanzitutto l’approccio al marketing e mi riferisco sempre all’attività sui film italiani, perchè Vision nasce per innovare e far crescere il cinema italiano in primis”.

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Come volete migliorare il marketing?

Scegliere meglio il pubblico, partendo dal presupposto che è fatto di segmenti, trovarli e cercare di prenderli. Bisogna riuscire a parlare direttamente al proprio di pubblico, il cinema italiano è sempre trattato come se fosse diretto a tutti, invece non è così, il pubblico va sempre cercato individuato e coinvolto. Si può dire che siamo nati per innovare ed evolvere il modello della distribuzione in Italia”.

Vision non distribuirà solo film dei 5 produttori che l’hanno fondata ma anche altri. Allo stesso modo i produttori soci sono liberi di rivolgersi ad altre distribuzioni. Ma tu sei invece libero invece di rifiutare dei loro film e quali tipi di film rifiuteresti?

La concorrenza è indispensabile, altrimenti il settore non migliora. Se ci basassimo su un modello chiuso, in cui facciamo solo i nostri film obbligatoriamente allora saremmo condannati a fallire. Io voglio prendere solo i film che rientrano nella nostra linea, ovvero quelli capaci di connettersi con il pubblico tramite elementi di originalità nella storia o tramite un punto di vista diverso, ma soprattutto film che parlino ad un pubblico specifico ben individuabile”.

Certo partite in una delle congiunture peggiori degli ultimi anni, specie per il cinema italiano!

Sì è vero, ma è anche vero che l’interesse per il prodotto italiano non è morto. Noi beneficiamo dell’accesso diretto ai dati di Sky e sappiamo ad esempio che il 43% degli abbonati Sky va al cinema più di una volta al mese, quindi abbiamo una base di clienti e potenziali spettatori enorme. Dobbiamo cambiare il linguaggio con cui gli proponiamo i film.
Il pubblico sceglie i film italiani non per la scala produttiva, quello è il motivo per il quale sceglie gli americani. I nostri li sceglie per le storie che raccontiamo, sono quindi film che vanno spiegati e raccontati”.

In che maniera contate di farlo?

Se ad esempio abbiamo un film italiano rivolto ad un pubblico femminile dobbiamo fare un lavoro molto verticale sui social, e questo vuol dire avere più materiali promozionali, che a sua volta significa essere più bravi a costruirli già sul set, ma non solo. Dobbiamo subito determinare quale sia il concept da vendere e comunicare in anticipo. In questo sono cruciali le nuove tecnologie, sono quelle che ci consentono di aprire un dialogo diretto e più lungo con lo spettatore”.

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L’intenzione è impeccabile ma sappiamo tutti che di mezzo ci sono le altri componenti della catena produttiva. Devi avere a che fare con chi il film lo gira, chi lo confeziona e poi dopo con chi lo proietta. Come pensi di fargli fare un lavoro differente?

Una cosa è certa: da questa situazione non usciamo da soli. Da questo trend in contrazione del film medio-piccolo in sala non se ne esce autonomamente, l’esigenza di collaborare con gli altri è fondamentale e per questo ho sposato Vision, perchè è un’idea: mettere insieme mondi diversi per costruirne uno superiore rispetto a quelli esistenti oggi.
La sala ad esempio credo debba ragionare sulla qualità, perché il ragionamento quantitativo fa prevalere alcuni film e tramuta gli altri in carne da macello. Dobbiamo far percepire la sala come un luogo di qualità. Fino a qualche anno fa si pensava che per vedere le cose migliori occorresse andare in sala ma oggi questa percezione non c’è più, la televisione ha dimostrato che non è così. Credo che la presenza diffusa di qualunque tipo di prodotto in sala vada limitata, dobbiamo promuovere meglio i film ma anche consegnare alle sale i prodotti migliori”.

Avete intenzione di cambiare il sistema di finestre distributive come esiste ora?

Se avremo la possibilità di fare esperimenti in piena condivisione con l’esercizio saremo lieti di farli ma non è una nostra priorità. La nostra priorità è prima di tutto portare gente al cinema”.

Sai bene che non sarà facile imporre modelli nuovi a chi è abituato a lavorare e pensare in maniera conservativa. Su cosa farete leva?

Credo che tutto il comparto alla fine sia vittima di una sorta di resistenza al cambiamento, tutti hanno paura di cambiare. Il mondo della produzione non è certo brillato per capacità innovativa. La distribuzione ha portato avanti modelli più lenti degli usi e costumi degli spettatori. E infine gli esercenti non sono stati migliori. Tutti gli operatori negli ultimi anni hanno battuto strade facili,invece dobbiamo prendere dei rischi. E per convincere gli altri a farlo credo che basti la paura che una certa cinematografia già ha di sparire”.

Pensi di essere stato scelto da Vision in virtù del tuo lavoro per una major americana?

Sicuramente! In 13 anni in Warner ho conosciuto e lavorato sui modelli più evoluti di distribuzione, applicandoli alla distribuzione italiana. In più con Warner ho proprio lavorato su film italiani, da quello sono partito per immaginare come possa funzionare Vision e quale possa essere il mio contributo, senza quel background non avrei avuto gli strumenti adatti”.

Questa intervista è una versione ampliata di una conversazione con Gabriele Niola originariamente comparsa su Screen International

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