Era una mossa attesa da molto tempo e forse qualcuno all’interno dell’industria già lo sapeva (qualcuno che recentemente ha spiegato alla stampa la differenza che esiste tra Netflix e Amazon quando si tratta di cinema). A partire dal primo Dicembre, data di uscita di Wonder Wheel di Woody Allen, Amazon Studios diventano una distribuzione. Se in precedenza per i suoi film come Manchester By The Sea lo studio si era appoggiato ad altre distribuzioni più canoniche, adesso invece passa dall’essere nel business della produzione contenuti (sia le serie da mettere subito online che i film da far passare prima in sala) ad essere in quello della distribuzione tradizionale.

È una bella aggiunta e soprattutto una bella dichiarazione d’intenti. Era abbastanza chiaro che gli Amazon Studios fossero in linea con il modello di business tradizionale del cinema, ma ora è evidente che non sono qui per cambiare niente. Almeno non nel breve termine.
Per il suo primo passo nella distribuzione infatti Amazon ha investito, ha assunto nuovo personale e ha affidato tutto all’ufficio marketing (sarà interessante vedere come se la cavano), soprattutto ha scelto un film molto facile come Wonder Wheel, uno che porta impresso il nome del proprio autore (Woody Allen), già dotato di un pubblico suo, di cinema suoi e città in cui funziona.

Più curioso può essere vedere come si comporterà quando sarà il momento di distribuire film molto più complicati come il “remake non remake” di Suspiria di Luca Guadagnino (non sarà horror ma tutti si aspetteranno e desidereranno un horror), il dramedy con Ben Stiller Brad’s Status e lo strano film di Todd Haynes, Wonderstruck. Sono tutti titoli molto piccoli per il mercato americano, a rischio estremamente contenuto, ma forse per questo non proprio facili.

La conseguenza più ovvia di questa mossa è che nel breve futuro avrà molto senso per gli Amazon Studios produrre film più grandi. Se a Netflix e Amazon non interessano i veri grandi blockbuster è perché gli investimenti per lo streaming non si contano nell’ordine delle centinaia di milioni di dollari, anzi lo streaming ha proprio sottratto al cinema quel segmento produttivo: il film piccolo o medio con grandi star (War Machine, The Irishman) come pure il prodotto d’autore di alto profilo (i film di Spike Lee). È il grande blockbuster allora a rimanere un’esclusiva della sala e della distribuzione mondiale, finanziato da tanti soggetti diversi, solitamente con contributi cinesi o grazie a fondi d’investimento internazionali.

Eppure se Amazon ora è anche un distributore, se cioè agisce sul territorio statunitense (e nel resto del mondo in collaborazione con distributori locali) allora comincia ad avere un senso pensare più in grande, non solo i film piccoli e medi ma anche quelli giganti diventano economicamente sensati.
Se insomma il suo modello di business, nato solamente online, gradualmente trasferito in sala è ora definitivamente fondato sulla catena completa (produrre, distribuire in sala, distribuire in home video, come solo le major fanno), perché i suoi film non dovrebbero essere gli stessi della Warner, della Universal o della Disney?

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