È ovviamente Guillermo del Toro il centro della conferenza stampa dei vincitori che si è tenuta dopo la premiazione della 74. edizione del Festival di Venezia. La maggior parte delle domande è per lui, dopo la vittoria del Leone d’Oro per The Shape of Water:

Lei ama il cinema di genere, ed è davvero inusuale che un festival così importante assegni il premio principale a un film di genere. Cosa ne pensa? Cosa significa per lei?

Per me ovviamente significa tantissimo: siamo a un punto di svolta nel cinema di genere, ha iniziato a colorarsi di politica, a essere artistico… parlo di film come Babadook, per esempio. Escono sempre più film di genere che si interrogano sul senso della vita e che sono fatti benissimo. Ma un premio come questo non serve a legittimare questo tipo di cinema, perché ogni tipo di cinema è bellissimo quando si interroga su queste tematiche. Io faccio cinema di genere da sempre, da 25 anni, e questo premio oltre che un incoraggiamento a continuare così è anche un riconoscimento per questo mio atto d’amore.

Questo film è una sintesi del suo cinema. Quanto le interessa che l’Academy la prenda realmente in considerazione, ora, dopo l’occasione sprecata del Labirinto del Fauno?

Io faccio i miei film come atto d’amore e di creazione. Se un film funziona e va bene al box-office, sono felicissimo, ma se non va bene… la cosa realmente importante per me è che un film nasca come progetto personale: non bisogna modificare la propria natura per piacere a un dato settore, a un dato pubblico. Se si ottiene un premio e si è rimasti fedeli a se stessi è la cosa migliore.

The Shape of Water è un film sulla diversità. Quanto l’essere messicano ha influito su un progetto simile?

Beh, essere messicano è importante perché… sono messicano in ogni mia parte, dalla testa ai piedi. Se penso a quest’ultimo anno e mezzo e ai suoi problemi… posso dire che da messicano sono abituato da decenni ai problemi. Ma è importante sottolineare che io sono totalmente contro l’omologazione e a favore della diversità: le peggiori ideologie invocano sempre cose che all’apparenza sembrano altruiste (“la madrepatria” “la purezza”) ma la cosa realmente bella dell’umanità è la sua imperfezione.

[…] La cosa che mi emoziona di più di un premio simile è che arriva dopo 25 anni di lavoro. Una carriera come la mia non si può programmare: ci sono stati alti e bassi.

Il suo film parla di razzismo nei confronti del diverso. Affrontare la narrazione con il filtro del fantasy e della metafora dà maggior forza a questa denuncia, secondo lei, rispetto all’utilizzare un taglio realistico?

Una delle forme più antiche della diffusione di idee è la parabola. Quello che è penso è che la parabola ti risparmia i dettagli e ti racconta un messaggio universale. Se si racconta qualcosa di realistico si finisce per ancorarlo in un determinato momento, anche se nel passato. Qualcosa che è ambientato nella fantasia, invece, diventa un ottimo veicolo per un messaggio. Le fiabe permettono alle persone di raggiungere verità universali. Ogni mitologia fa la stessa cosa: che sia messicana, francese, australiana… hanno tutte un percorso comune.

 

 

 

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