Da mercoledì 6 febbraio sarà disponibile in DVD, Blu-Ray e Blu-Ray 3D il film d’animazione ParaNorman, realizzato da Laika (la stessa casa di produzione di Coraline e la porta magica) e candidato all'Oscar come miglior film d'animazione.

Per l'occasione, BadTaste.it vi propone una interessante intervista al produttore e capo degli animatori del film Travis Knight (presidente e amministratore delegato di Laika), che vi riportiamo in calce.

 

 

INTERVISTA A TRAVIS KNIGHT

Travis Knight è il presidente e l’amministratore delegato di Laika, studio di animazione dell’Oregon. È stato inoltre capo animatore del primo film dello studio, Coraline e la porta magica (2009), e ha svolto lo stesso ruolo per la nuova avventura in stop-motion 3D prodotta dallo studio, ParaNorman (2012), in cui un ragazzo (doppiato in originale da Kodi Smit-McPhee) deve salvare la sua piccola città del New England da un’invasione di zombie.

Vi proponiamo in esclusiva una intervista a Knight (l'intervista non è stata realizzata dalla nostra redazione). Potete leggerla qui sotto!

Hai ricoperto molti ruoli in ParaNorman. Quali sono stati esattamente e come sei riuscito a svolgerli simultaneamente?
Per ParaNorman sono stato anche capo-animatore. Ho svolto il ruolo di produttore insieme ad Arianne Sutner (Le avventure acquatiche di Steve Zissou [2004]; Nightmare before Christmas [1993]). Sono anche l’amministratore delegato di Laika, la compagnia di animazione che supervisiona tutto quanto. I differenti aspetti del lavoro sono spesso così complicati ed intrecciati fra loro che talvolta è difficile per me tenerli separati l’uno dall’altro. Posso dirvi che, come artista, ci si focalizza sulle minuzie, sui dettagli. La creatività è caratterizzata da improvvise scintille di immaginazione. È una cosa confusa e spesso inefficiente. A volte c’è il rischio si fissarsi su minuscoli particolari e di perdere di vista il quadro generale. Come amministratore delegato, invece, devo avere molta disciplina e devo sempre tenere in considerazione il quadro generale. Il rischio primario è di perdere di vista l’obiettivo finale. In quanto artista, sono molto sensibile alla creatività. In quanto amministratore delegato, devo imporre all’artista dentro di me di tenere conto del progetto più ampio. Credo che aver ricoperto entrambi i ruoli mi abbia reso più bravo nel lavoro specifico.

A quale compito ti senti più adatto?
L’animazione, perché è ciò che ho fatto per tutta la mia vita. Gli ultimi dieci anni della mia vita li ho passati come un artista che cerca di far emergere il proprio lato da “produttore”. Questi sono gli aspetti differenti della mia personalità, e anche gli aspetti differenti del mio modo di pensare. A questo punto, sento di trovarmi esattamente dove devo essere. Sento di aver finalmente trovato un equilibrio fra questi due aspetti.

Come è nato ParaNorman e cosa in particolare ti ha attratto di questo progetto?
Eravamo a una festa, durante la lavorazione di Coraline; sto parlando di circa quattro o cinque anni fa, quando Chris Butler, il regista di ParaNorman, che era lo sceneggiatore-capo di Coraline, mi ha proposto questa sua idea. Questo progetto gli era ronzato in testa per parecchio tempo, senza dargli tregua, e voleva parlarmene per capire se fosse qualcosa che potessimo essere interessati a realizzare. Il nucleo più semplice della sua idea era che voleva fare un film di zombie per bambini in stop-motion. Ne sono rimasto subito affascinato. Sono il tipico ragazzo che è cresciuto guardando film che non avrebbe dovuto guardare. Ero un grande fan dei film di zombie di George Romero, e amavo osservare le creature nei film di Ray Harryhausen. L’idea che potessi prendere queste due cose che amavo, lo stop-motion e gli zombie, mescolarle insieme e farne un film mi ha catturato immediatamente.

Come siete passati dal soggetto di partenza alla stesura della sceneggiatura?
Si trattava ancora di un’idea esile, che da sola non bastava per costruirci sopra un film. C’era bisogno di un cuore pulsante al centro della storia. Parlando con Chris, mi sono reso conto che lui aveva in mente qualcosa di molto più grande e più profondo. Il nucleo centrale era questo ragazzo, Norman, che era un disadattato, una sorta di “reietto”, con questo dono speciale di essere in grado di vedere e parlare con i morti. Era un dono che in qualche modo lo aveva spinto ai margini della comunità in cui vive. Ma questo dono, che lo aveva condannato alla solitudine, poi diventa ciò di cui la sua comunità ha bisogno per sopravvivere. Ho pensato che fosse davvero molto bello e coinvolgente. Non si trattava soltanto di qualcosa di analogo alle mie esperienze e a quelle di ogni altro artista della Laika, ma di qualcosa con la quale la maggior parte delle persone è in grado di identificarsi. Questa storia estremamente personale proposta da Chris aveva un valore universale che ho pensato potesse davvero toccare il pubblico. Proprio l’opportunità per creare una rappresentazione davvero valida di tale idea, insieme a una storia bellissima e coinvolgente, mi sono sembrati gli elementi per un perfetto successore di Coraline.

Quali sono il fascino e le maggiori difficoltà nell’aver girato in stop-motion?
Qui a Laika amiamo i film in stop-motion, ho sempre avuto la passione per questa tecnica d’animazione. Quello che abbiamo voluto fare e che ha conferito un fascino particolare ai nostri film, è stato unire questa tecnica d’animazione nata agli albori del cinema all’uso del computer e di quelle nuove tecnologie che, in teoria, avrebbero dovuto segnare la fine della stop-motion. Da una parte l’innovazione del digitale, della CGI, dall’altra l’artigianalità della stop-motion che ci permette poi di vedere l’umanità dell’animazione dietro il film completato. Per quanto riguarda invece le sfide poste dall’utilizzo di questa tecnica, ce n’è stata più di una! Lavorare con la stop-motion rende più difficile realizzare scene corali, di massa e quelle particolarmente movimentate. E poi bisogna essere bravi nell’infondere vita ai personaggi, che rischierebbero altrimenti di sembrare semplicemente delle bambole senza una personalità, senza un’anima.  

Cosa avete in serbo per il futuro degli Studios?
Quando abbiamo fondato Laika dieci anni fa puntavamo esattamente a dove siamo ora e dove stiamo andando – ovvero, creare storie uniche e durature ed essere uno studio orgogliosamente indipendente che valorizza l’innovazione e la creatività. C’è anche l’aspetto economico: dobbiamo trovare da soli le risorse, dobbiamo produrre profitto. Per fare ciò, dobbiamo stare al passo con una tabella di marcia che preveda uscite annuali, un film ogni dodici mesi. Produrre un film ogni tre anni non può essere un modello di business valido. Quindi stiamo gradualmente restringendo l’attesa tra un film e l’altro per riuscire ad avere una release all’anno. Raggiungeremo quest’obiettivo probabilmente in quattro o cinque anni.