Fonte: Varie

E' interessante vedere come molti editorialisti nostrani, di fronte ai guru (meglio, i magnati) della comunicazione e dell'editoria assumono un atteggiamento da 'febbre supina' (copyright Marco Travaglio). E' bastato infatti che Rupert Murdoch dicesse di voler rendere i suoi giornali online a pagamento ed ecco che tutti parlano di rivoluzione. D'altronde, i toni messianici del tycoon australiano non lasciano spazio a dubbi:

Ci troviamo in questo momento nel bel mezzo di un dibattito epocale sul valore dei contenuti ed è chiaro a molti giornali che il modello attuale non funziona bene. Noi siamo al centro di questo dibattito e si può ragionevolmente pensare che siamo in prima fila nel trovare un modello che riesca a massimizzare le entrate per i nostri azionisti… Gli attuali giorni di Internet finiranno presto".

Messa così, sembra più Terminator che un magnate della stampa. Il tutto, entro uno o due anni. Eppure, le diverse falle del discorso di Murdoch non sembrano suscitare grande interesse nei commentatori dei quotidianisti. Intanto, il fatto di citare sempre e solo il Wall Street Journal come esempio di contenuto a pagamento di successo è francamente fuorviante. Un conto sono le informazioni economiche, per cui molti addetti ai lavori sono disposti a pagare, un conto è il resto, che non garantisce assolutamente certi risultati. Inoltre, come faceva notare Mike Masnick su Techdirt, soltanto un anno e mezzo fa Murdoch diceva che con i contenuti forniti gratuitamente si potevano fare molti più soldi. Della serie, idee chiare e durature.

Ma l'analisi più interessante la fa Cecil Adams del sito Straight Dope Chicago, specializzato appunto sulla vita di questa città americana. Il sito per un certo periodo è stato parzialmente a pagamento (almeno per chi voleva scrivere, sempre gratuito per chi voleva semplicemente leggere) e la cosa ha in teoria funzionato. Ma come fa notare Adams, si è trattato di entrate basse e che non sono mai aumentate, mentre invece hanno provocato la diminuzione del traffico sul sito. Per questo, si è ritornati a una formula totalmente gratuita. Il giornalista è convinto invece che, con siti giornalistici come il loro, si arriverà a una iperspecializzazione dell'informazione, retta da pubblicità locali.

Di sicuro, l'errore che non è il caso di fare è pensare che il futuro di Internet lo decida Rupert Murdoch. E non solo perché da chi ha comprato (spendendo una barca di soldi) MySpace non è il caso di fidarsi ciecamente quando parla dell'argomento, ma semplicemente perché nessuno, non importa quanto potente, può influenzare autonomamente una realtà come Internet.

E in Italia? Beh, noi stiamo all'anno zero, ma questa non dovrebbe essere una sorpresa. Basta leggere cosa ha detto recentemente Eugenio Scalfari, fondatore di Repubblica:

Perdiamo copie, ma i lettori delle pagine web dei giornali aumentano. A quel punto penso che si possa chiedere un piccolo prezzo per l'abbonamento. Non 1 euro ma 10 centesimi, visto che vengono a mancare le spese della carta e della stampa. C'è poi anche la pubblicità, che però non è ancora in grado di fronteggiare le perdite della carta stampata".

Mi viene da dire con una celebre frase, "e se facessimo la guerra e non venisse nessuno"? Messa così, la formula è semplice. Riduciamo i costi di stampa, di distribuzione, di edicolanti e quant'altro e possiamo far pagare dieci centesimi. Sì, ma dieci centesimi per cosa? Per tutto il giornale? Molto improbabile, visto che passare di botto da contenuti completamente gratuiti a una formula esclusivamente a pagamento sarebbe un suicidio. Se ne deduce (ma forse semplicemente in Italia nessuno sta facendo piani seri e si attende di vedere come vanno i quotidiani di Murdoch) quindi che una parte soltanto del sito andrebbe a pagamento. Informazioni ultraspecializzate? Commenti di grandi firme? Difficile dirlo e difficile anche essere sicuri che la gente voglia pagare un prezzo (alto o basso, anche solo il fatto di dare il numero della carta di credito non è uno scherzo).

L'unica cosa sicura è che, per ora, mentre c'è chi si lamenta degli aggregatori e di Google, nessuno nota che esistono siti che si appropriano completamente dei contenuti dei quotidiani senza pagare. Non ci credete? Beh, ma allora ditemi cos'è Dagospia. In teoria, la versione italiana del Drudge Report, ma mentre lo spazio americano linka ai contenuti degli altri (ed è quindi un ottimo vantaggio per chi riceve questa attenzione), Dagospia li copiaincolla direttamente, senza che per il quotidiano di riferimento (anche perché magari l'articolo è presente solo sulla versione cartacea) ci sia nessun profitto, neanche in termini di lettori. Intendiamoci, chi scrive va su Dagospia almeno 4-5 volte al giorno e lo trova utilissimo. Ma l'ironia in tutto questo è che venga considerato un modello di informazione rispetto ai 'banali' prodotti editoriali chi con i contenuti altrui ci realizza circa l'80-90% dei propri articoli. Insomma, come si fa a pensare di vendere online un articolo di Repubblica o del Corriere della Sera, se questo si trova gratuitamente su Dagospia? Continuiamo così, facciamoci del male…

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