Fonte: varie, tra cui wikipedia, slideshare, Slate

Uscito in Italia venerdì 16 aprile, Scontro tra Titani ha fatto molto parlare di sè prima per la frettolosa riconversione in 3D, e poi per la qualità stessa di questa riconversione (giudicata pessima da Jeffrey Katzenberg).

E' solo uno dei numerosi film che le major di Hollywood stanno rapidamente riconvertendo in 3D dopo che il successo di Avatar ha dimostrato loro l'opportunità enorme della stereoscopia – non il potenziale espressivo e di immersione dello spettatore nella storia, ma la possibilità di aumentare i prezzi dei biglietti a proprio piacere. Così è stato per Alice in Wonderland (la cui riconversione era stata annunciata l'anno scorso) e così sarà per Harry Potter e i Doni della Morte, il terzo episodio di Narnia, I Viaggi di Gulliver… tutti film girati in pellicola e riconvertiti in post-produzione.

I risultati delle riconversioni viste al cinema finora sono stati decisamente deludenti (ce lo state dicendo anche voi lettori), e in molti temono che questo approccio "dell'ultimo minuto" al 3D possa causare danni a livello di industria cinematografica. Il pubblico infatti – non sapendo distinguere le due tipologie di 3D (perché ovviamente nessuna major specificherà sulle proprie locandine "riconvertito in 3D") – potrebbe stufarsi di TUTTO il 3D, e non solo delle riconversioni, danneggiando quindi anche chi si sta muovendo per realizzare film in 3D nativo (vedi Tron Legacy). Alcuni dei principali registi di Hollywood si stanno muovendo per impedire che ciò accada, ma è importante anche informare e sensibilizzare gli spettatori riguardo alle due tipologie di 3D, in modo che siano sempre consapevoli di quello che stanno andando a vedere.

Ma come avviene una riconversione in 3D di un film già completamente girato in 2D (pellicola o digitale che sia)?

Andiamo con ordine. I film girati in 3D vengono ripresi con due punti di vista leggermente spostati l'uno dall'altro (questo si ottiene con due cineprese una affianco all'altra), questo produce due immagini che vengono proiettate sullo schermo verso ciascun occhio dando un chiaro effetto stereoscopico.

mappaSenza la seconda cinepresa a disposizione, riconvertire un film girato in 2D significa "inventarsi" la spazialità aggiuntiva generando due immagini da un'unica immagine bidimensionale. L'immagine viene divisa in diversi livelli di profondità (dai due agli otto): il livello superiore contiene gli elementi in primo piano, e via via fino allo sfondo. Questo viene fatto da tecnici (la più note industrie di riconversione sono in India) che successivamente disegnano linee di profondità intorno agli oggetti presenti nell'immagine (proprio come fosse una mappa topografica).

A quel punto, tocca al computer: il software realizza la "seconda" immagine (necessaria per dare il senso di spazialità) derivandola dalle linee di contorno degli oggetti, spostando le varie aree a destra o a sinistra a seconda delle linee (gli elementi più distanti vengono spostati leggermente meno); questo processo viene applicato a tutti i livelli dell'immagine, per ogni inquadratura di tutto il film, aiutandosi ovviamente con un sistema di tracking dell'immagine per replicare questa operazione in movimento. Le scene più complesse da realizzare sono, ovviamente, le scene d'azione caotiche: se le sequenze sono invece relativamente calme, i tecnici si occupano solo di mappare una serie di key-frame e il computer realizza le interpolazioni in automatico.

La differenza tra ricovertire in 3D un film e girarlo direttamente in stereoscopia non sta solo nel processo di post-produzione che serve a dimensionalizzare le immagini (anche girare un film in 3D causa una serie di belle magagne durante la postproduzione, come la realizzazione di effetti visivi in 3D, non proprio semplici da gestire). La vera differenza, infatti, sta nell'immagine prodotta, e principalmente in due aspetti. 

3dPrima di tutto, durante la riconversione in 3D gli artisti sono costretti a "inventare" diverse porzioni dell'immagine. Se un elemento si sposta rapidamente dallo sfondo, lascia un buco bianco che va colmato sfocando o "copiandolo" da altri elementi dell'immagine. In alcuni casi il risultato è estremamente irreale e viene percepito anche dall'occhio umano.

Inoltre, gli otto livelli di profondità in cui viene divisa l'immagine sono relativamente pochi rispetto agli infiniti livelli registrati dalla cinepresa stereoscopica: il 3D nativo risulta comunque più vicino alla spazialità percepita dall'occhio umano.

Ad ogni modo, girare un film direttamente in 3D è molto costoso (il lavoro di uno stereografo da solo costa quanto quello di un team di indiani esperti in riconversione), e per alcuni aspetti può anche risultare scomodo (alcune scene necessitano una manovrabilità della cinepresa impossibile per le camere 3D) o inutilmente complesso (girare in 3D una scena in cui gli elementi reali sono pochi e l'ambientazione è totalmente in computer grafica può essere controproducente). Una buona via di mezzo potrebbe essere girare un film in maniera ibrida: la cosa importante, tuttavia, è che queste scelte vengano operate prima di realizzare il film…