C’è un evento tragico (la scomparsa di un figlio) che ha separato i protagonisti di Chorus, li ha allontanati l’uno dall’altro confinandoli in zone remote e opposte logicamente (lei al freddo, lui al caldo), rintanandoli in passioni, musica, noia… Quasi un decennio dopo, un nuovo sviluppo nell’indagine li riavvicina riacuendo un dramma che, si capisce bene, il realtà non era mai stato sopito.

Come nell’ultimo film di Wim Wenders (Every thing will be fine) anche qui il tempo non cura ogni ferita, anzi le fa macerare, e il suo scorrere (negato, perchè saltiamo direttamente ad “anni dopo la scomparsa”), non ha cambiato nulla. Chorus cerca di mettere i personaggi a contatto con il dolore più puro, vuole guardare cosa succede alle persone e studiarle mentre si forzano ad affrontare quello che già sanno li massacrerà. In questo il bianco e nero aiuta molto, crea un mondo rarefatto e impossibile, un luogo di eterno struggimento che non somiglia ...