Lo stile di Malick è mutato molto nei 20 anni di iato creativo, quando è tornato con La sottile linea rossa non era più quello di I giorni del cielo, era più radicale nella maniera in cui racconta le sue storie. Già nei primi due film dal ritorno ha cominciato a raccontare sempre meno e con gli ultimi tre lungometraggi, realizzati a breve distanza gli uni dagli altri (considerati i suoi tempi), è arrivato a distruggere il racconto canonico.
Lo stile è diventato quello della voce fuoricampo (già presente ma ora determinante) che come il narratore di un romanzo getta le basi logiche mentre le immagini lavorano con lei, in armonia e mai in contrasto. I suoi ultimi tre film sono insomma la medesima storia, quella della fatica del vivere sulla Terra, dell’essere spiriti dentro corpi, di non riuscire a dare pieno sfogo a quello che si ha dentro e della lotta per riuscirci.
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