Troppo vicino, troppo simile, troppo ingombrante, nel vedere La Tete Haute (a testa alta) è impossibile non pensare a Mommy, il film che un anno fa a Cannes portava la storia di un ragazzo con problemi di gestione della rabbia e di una madre non propriamente integerrima che cerca con difficoltà di tenerlo fuori da centri di detenzioni, prigioni minorili e manicomi. Il film di Emmanuelle Bercot non gira troppo lontano da quest’idea, si concentra molto di più sulla parte “sociale”, cioè sul rapporto del protagonista Malony con le istituzioni che cercano di riabilitarlo, metterlo in riga e tenerlo fuori dai guai, che sul rapporto con una madre molto peggiore di quella di Mommy, ma l’aria è la medesima. Si tratta del sapore melò prestato ad una storia criminale, il sentimentalismo legato alle difficoltà di vivere per chi sembra non essere fatto per questa società e una forma esasperata di romanticismo che attinge con piacere ad un’altra epoca del cinema.

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