A partire dall’espediente di sceneggiatura più classico per un poliziesco (una rapina, una valigia con il malloppo da nascondere, un fratello da tirare fuori di galera), Good Time cerca di scavare via dal genere i suoi intrecci, di levare cioè ai thriller criminali tutta la parte effettiva di crimine, per lasciare solo una serie di eventi in sequenza, come se la vera storia fosse condannata a non partire mai da un narratore riluttante, lasciando solo peripezie criminose all’inseguimento di una via di uscita.

Dopo la rapina che arriva a pochi minuti dall’inizio del film, messa in piedi con grande goffagine da due fratelli (uno dei quali handicappato mentale), Good Time si concentra solo sul recupero, sul meccanismo base di preda e predatore. Il fratello scemo sarà catturato dalla polizia e l’altro dovrà pagare la cauzione oppure farlo evadere dall’ospedale in cui è rinchiuso a seguito delle ferite riportate nella cattura (indovinate cosa è costretto a scegliere).

C’è Robert Patt...