Bisogna avere una predisposizione d’animo per la poesia declamata e i tramonti sul mare per apprezzare Radiance. Ma forse nemmeno quella basta.
Naomi Kawase esibisce in questo film una così smaccata voglia di romanzetto e di ripulire la coscienza del film a colpi di frasi dal marcato accento pretenzioso, che è molto difficile mantenere la calma durante la visione e non cedere al nervoso.
Già la trama non è delle più promettenti: una donna che di lavoro fa le audiodescrizioni dei film (quelle utili a farli capire ai non vedenti), lotta per tradurre a parole le immagini di un film in particolare e nel farlo stringe un rapporto con un fotografo diventato non vedente quasi del tutto che fa parte del gruppo test con cui prova l’audiodescrizione.

Non giunge quindi come una sorpresa che Radiance abbia a che vedere con il rapporto tra parola e immagine, la difficoltà se non impossibilità di tradurre con il linguaggio le sensazioni di un’immagine sonora in movimento. In questo senso le riunioni...