C’è il sangue, le grida, l’odio, la furia e la tensione, Hollywood ce lo ripete da anni che Shakespeare è un autore di blockbuster. Ad ogni nuova iterazione dei suoi classici cerca maniere inedite di modernizzarlo e adattare quelle che sono le dinamiche alla base di molto cinema moderno di grande incasso, mantenendo intatta anche una parte di dell’anima originale e fuori dal tempo.
Nè Orson Welles, nè Kurosawa (con Trono di Sangue) avevano però lavorato come ha fatto Justin Kurzel sulla fedeltà alla parola e l’infedeltà al teatro. Il suo Macbeth è un frullato di Valhalla Rising (l’epica autoriale moderna) e dei kolossal di Ridley Scott da cui mutua le ambientazioni e l’inserimento di una dimensione mistica (le apparizioni dei demoni), ha i colori estremi di Refn che flirtano con i fumetti (un attimo in più di color correction o computer grafica e tra le fonti di ispirazione per l’estetica avremmo potuto citare 300) e il titanismo necessario a t...
Il mito eterno di Macbeth, re per profezia consumato dalla propria bramosia diventa un delirio di colori troppo spostato sulla recitazione
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