C’era una cosa che non andava sbagliata in Doctor Strange ed era la dimensione visiva, un complicato coacervo di design lisergico anni ‘70, new age (anche un po’ d’accatto), Escher e caleidoscopi. Armamentario vecchio stampo da lustrare per una nuova occasione. Non solo il film di Scott Derrickson (l’uomo dietro Sinister) non la sbaglia ma preme l’acceleratore in maniere che non era facile aspettarsi, esagera tantissimo trovando nella confusione il proprio ordine, nell’ardire visivo degli sfondi e nel muoversi in controtempo delle figure in primo piano la sua cifra unica, dimostrando che è con i personaggi minori che la Marvel può osare un po’ di più e finisce per dare il meglio. Caotico come pochi film è in realtà matematicamente ordinato per non far perdere mai l’occhio dello spettatore nei suoi labirinti. In questo Doctor Strange è unico e una boccata d’acqua fresca che ricorda cosa aveva impressionato dei primi film dei Marvel Studios.

I ribaltamenti escheriani da