È uno sguardo stranissimo quello con il quale Stephen Frears si mette ad osservare (e quindi mettere in scena) la storia di Florence Foster Jenkins, dama ricchissima della New York di metà novecento, melomane fissata con un’idea di arte, di canto e di opera che prevede anche lei stessa nell’equazione. Il fascino di questa donna è subito evidente, una mecenate al tempo stesso megalomane e generosa, realmente appassionata ma anche realmente vittima di una società accondiscendente per motivi venali, potentissima e vittimissima (aveva la sifilide e quindi, in un certo senso, i giorni contati). Eppure alla prevedibile e necessaria critica al sistema di falsità e menzogne che circonda Florence Foster Jenkins e le sue esibizioni, corrisponde anche un’ammirazione per una società tanto fasulla quanto dignitosa.

Frears ha già dimostrato di essere in grado di conciliare le proprie idee fieramente laburiste con una grande ammirazione per la regina in The Queen, qui sembra procedere sullo stesso bi...