Salvo rarissime eccezioni i bambini dei film italiani sono bambini degli anni ‘30. Non appartengono al tempo moderno, non giocano ai videogiochi (lo fanno solo quando sono coprotagonisti, macchiette o cattivi esempi), non guardano molta televisione, non guardano cartoni animati, non hanno fissazioni da bambini. Al contrario sognano di andare ai Musei Vaticani (un desiderio tale da spingere al pianto e ai capricci se frustrato), sono entusiasti quando ricevono giocattoli come un Pinocchio in legno, sono responsabili per quanto ingenui e, fondamentalmente, buoni.
È infatti proprio perché i genitori non lo portano più ai Musei Vaticani come promesso che il bambino protagonista di Una Gita a Roma si separa dalla madre e, assieme alla sorella più piccola che lo ha seguito, gira per Roma tutto un pomeriggio mentre i genitori in preda all’ansia lo cercano. Incontreranno altri bambini, dei criminali che contribuiranno a far arrestare, una coppia di anziani che gli faranno temporaneamente da no...
Senza nessun aggancio alla realtà, Una Gita a Roma è un film totalmente idealizzato senza la consapevolezza di esserlo e soprattutto senza gusto
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