Le storie dei film di Guy Ritchie sono sempre abbastanza semplici.

È, semmai, il suo stile di racconto che le ingarbuglia mescolando con il montaggio situazioni e momenti, nasconendo o svelando indizi solo quando serve. Il segreto di pulcinella dello storytelling (il rilascio graduale delle informazioni) per questo regista inglese non è una questione di scrittura o di recitazione, ma una puramente di montaggio, il suo giocattolo preferito. Ha reso in questo modo unico il gangster movie britannico, ma ha anche creato una dimensione fumettosa per Sherlock Holmes.
King Arthur non fa eccezione e inventa un altro modo ancora di sfruttare la sua passione per gli stacchi violenti e le associazioni originali, uno che mette sullo stesso piano diversi tempi e dà vita al blockbuster più tradizionale e al tempo stesso originale degli ultimi anni.

La vicenda è quella del piccolo Artù, che vede morire la madre davanti ai suoi occhi per mano dello zio Jude Law, ma rimuove il ricordo. Cresciuto in un ...