È una fissa di Giulio Manfredonia quella dei film in cui i più deboli si alleano per creare un business nonostante lo scherno dei più forti. Già con Si può fare aveva raccontato l’impresa (tratta da una storia vera) di un gruppo di matti che formano una piccola ditta edile e, malgrado il poco sostegno statale, si reinseriscono nella vita civile attraverso un’insanabile buona volontà che abbatte ogni barriera. Il tutto reso credibile e accettabile dall’umorismo. Dietro l’operazione c’era e c’è anche ora Fabio Bonifacci.
La stessa forza propulsiva (con il medesimo idealismo naive e il medesimo atteggiamento da commedia che avvicina la storia al favolismo) anima La nostra terra, in cui un pugno di persone oneste del meridione, coadiuvate da un uomo integerrimo del nord (che rappresenta nell’immaginario collettivo il senso civico), mette in piedi un business a partire da terreni sottratti alla mafia.
La stessa forza propulsiva (con il medesimo idealismo naive e il medesimo atteggiamento da commedia che avvicina la storia al favolismo) anima La nostra terra, in cui un pugno di persone oneste del meridione, coadiuvate da un uomo integerrimo del nord (che rappresenta nell’immaginario collettivo il senso civico), mette in piedi un business a partire da terreni sottratti alla mafia.
Alla base di La nostra terra c’è quindi il...
Contrapponendo come spesso piace fare al cinema e alla tv italiana la tradizione e la modernità italiane, rappresentate dal sud e dal nord, La nostra terra vuole essere sia macchietta sia realtà
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