È molto facile odiare Il Piano di Maggie. I suoi ambienti newyorkesi ricercati, la maniera in cui si bea dell’appartenenza ad un’elite culturale (i protagonisti sono insegnanti universitari, romanzieri, antropologi…), in cui rappresenta un circolo molto ristretto e ombelicale, poiché quella precisa tipologia umana è la medesima a cui appartiene chi il film lo realizza, sono tutti elementi fastidiosi e pedanti.
Eppure in questa parabola che è solo una delle molte in cui Greta Gerwig interpreta il “suo personaggio” (una donna tra i 30 e i 40 anni, esterna alle consuete dinamiche sentimentali, sola e completamente persa tra aspirazioni tipiche da vita moderna e voglia di essere come gli altri, cioè trovare un equilibrio) c’è un’umanità sorprendente che sarebbe troppo miope negare.

Rebecca Miller su un’impalcatura molto nota, quella del film indie newyorchese, riesce a scomparire e costruire così, con l’apparente assenza del narratore, un’opera di lenta maturazione, una che impiega tutto i...