Sbaglia, e molto, chi ritiene che un film di paura si giudichi da quanto riesce a terrorizzare, così come sbaglia chi ritiene che una commedia si giudichi unicamente da quanto faccia ridere, entrambi i generi che fanno più appello alla pancia dello spettatore dovrebbero, nel migliore dei casi, usare le emozioni che stimolano per arrivare ad altro. Al contrario è però anche vero che un film di paura così goffo e puerile da non riuscire a creare tensione mette subito in dubbio la sua ragion d’essere. Come un musical in cui si canti stonato Poltergeist, versione 2015, stecca tutte le note che dovrebbe centrare in un continuo muoversi impacciato tra stereotipi del cinema dell’orrore, calco insipido dell’originale e un incredibile senso d’inadeguatezza rispetto alla propria missione.

L’obiettivo di Gil Kenan sembra voler essere stato un miscuglio tra una filologia del primo film (ovvero la scrittura di Spielberg attenta alle psicologie infantili degli anni d...