Silence
di Martin Scorsese
12 gennaio 2017
Dopo 2 ore e 45 minuti di Silence, l’impressione è che non tutto fili liscio, che il racconto dei due preti gesuiti che vanno a recuperarne un altro, la cui fede in Dio pare sia stata messa in crisi nel Giappone delle persecuzioni ai cristiani, sia pieno di grumi, momenti in cui la fluidità dello storytelling si arena in pantani capaci di appesantire una durata già impegnativa di suo. Al contrario di The Wolf of Wall Street (solo per citare l’ultimo dei film lunghi di Scorsese), Silence non ha quel passo indemoniato che accorcia il minutaggio percepito, anzi, ha un fare dilatato e contemplativo che non sempre rende giustizia a questo Apocalypse Now! della fede cristiana, questo viaggio nel cuore del Giappone alla ricerca di un uomo che non risponde più ai dettami della Chiesa.
Per Silence Dio sta in minuscoli crocefissi incisi sommariamente e della grandezza di un bottone o in icone grandi quanto una zolletta di zucchero, artefatti piccoli, ideali per essere contrabbandati o nascosti, ...
Quell'impresa impossibile di manifestare la presenza del divino pur nella sua assenza, Silence la raggiunge. Non senza problemi e lungaggini ma la raggiunge
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