C’è in questo film turco una discesa nella disperazione che parte già dal basso. L’ambiente in cui tutto si svolge è una periferia che pare la discarica dei centri abitati moderni, ai margini della modernità dove si vive in un tempo sospeso che non è certo il presente ma non sembra nemmeno il passato. Questa volta il più classico dei clichè della critica è vero e va detto: il paesaggio è il vero protagonista, l’interprete migliore, il dettaglio più curato e significativo. Quei luoghi umidi e freddi, pieni di mondezza non organica, pezzi di legno e metallo, buste di plastica ed erbacce sono indimenticabili, lì si può solo che impazzire.
Karid viene mandato in quel posto a fare un lavoro assurdo di intelligence per finire di scontare una pena (fruga nella spazzatura alla ricerca di materiale o prove contro i terroristi) e lì incontra suo fratello Ahmed che spara ai cani invece di acchiapparli per poi ammassarne le carcasse in una fossa comune o addirittura venderli sott...
La follia anima i personaggi ma la disperazione contamina i paesaggi, in Frenzy sono gli uomini lo sfondo di un mondo invivibile
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