Sempre meno i film di Marco Bellocchio si arrendono alla dittatura del pensiero logico, sempre meno cioè vogliono rimanere legati ad una trama propriamente detta o portare avanti i loro ragionamenti attraverso binari che rispondono alla logica. Almeno da L’Ora di Religione sempre di più si contaminano di deviazioni, sillogismi non conclusi o voli pindarici che spesso (non sempre) sono la parte migliore del film, di certo lo sono in Sangue del mio Sangue.
Rigidamente diviso in due parti (il passato e il presente, tutto intorno ad una prigione-convento di Bobbio, ieri attiva oggi rudere) il film mette molto poco in relazione la storia di una donna processata per possessione demoniaca, di un uomo, Federico Mai, che cerca di riabilitare il nome del proprio fratello (da lei traviato) e poi nel presente di un Conte che abita la prigione-convento in gran segreto e dell’erede di quel Federico Mai che vuole acquistarlo con l’inganno.
Quel che conta di più in Sangue del mio San...
Lontano dalla logica delle trame e giocato su passato e presente, Sangue del mio sangue è un film che abbandona le parole per abbracciare le immagini
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