Paradise non è quel che hanno fatto i nazisti, come spesso racconta il cinema dell’Olocausto, ma quello che sognavano, assieme agli altri uomini e donne del loro tempo. Un’ebrea, un ufficiale SS e un commissario francese che collabora con la Germania hanno un’idea diversa del Paradiso, cioè un’idea diversa di cosa possa esserci in un domani migliore. Ognuno è convinto, ognuno è messo alla prova dagli eventi che vive, l’intreccio classico del cinema cui Konchalovsky riserva un trattamento d’altri tempi, compassato e misurato.

La parte più fastidiosa di Paradise è infatti come ostenti il suo statuto di cinema vintage. Si presenta in bianco e nero, ha un quadro in 4:3 e in certi momenti trova alcune delle inquadrature contemporanee più somiglianti per fotografia e composizione ad un film degli anni ‘30. Sa di essere bello di una bellezza passata, ricalcato (e bene) su modelli aurei, e lo sbandiera.

Sono difetti veniali però, perché Konchalovky centra uno dei film migliori della sua carrie...