Paradise
di Andrei Konchalovsky
25 gennaio 2018
Paradise non è quel che hanno fatto i nazisti, come spesso racconta il cinema dell’Olocausto, ma quello che sognavano, assieme agli altri uomini e donne del loro tempo. Un’ebrea, un ufficiale SS e un commissario francese che collabora con la Germania hanno un’idea diversa del Paradiso, cioè un’idea diversa di cosa possa esserci in un domani migliore. Ognuno è convinto, ognuno è messo alla prova dagli eventi che vive, l’intreccio classico del cinema cui Konchalovsky riserva un trattamento d’altri tempi, compassato e misurato.
La parte più fastidiosa di Paradise è infatti come ostenti il suo statuto di cinema vintage. Si presenta in bianco e nero, ha un quadro in 4:3 e in certi momenti trova alcune delle inquadrature contemporanee più somiglianti per fotografia e composizione ad un film degli anni ‘30. Sa di essere bello di una bellezza passata, ricalcato (e bene) su modelli aurei, e lo sbandiera.
Sono difetti veniali però, perché Konchalovky centra uno dei film migliori della sua carrie...
Tocco leggerissimo quello di Paradise, cinema lieve che si insinua nella testa, racconta con grazie le idee più elevate e sa come guardare quelle più turpi
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