In mezzo alla savana, c’è una capanna di legno che ha un solo spiraglio, orizzontale, buono per far uscire il fucile e sparare. Tutto intorno è silenzio e sembra che nell’inquadratura non ci siano umani fino a che non parte uno sparo. Il pubblico in sala ride. È l’inizio di Safari, documentario di Ulrich Seidl che dopo In the Basement torna a raccontare i lati meno concilianti e più neri dell’uomo comune. Si ride in quell’inquadratura per senso d’ilarità che le parole non rendono, scatenato dal ridicolo della maniera in cui nella capanna qualcuno è letteralmente barricato nonostante intorno non ci sia niente e dalla potenza dello sparo che ne esce. Sembra una gag delle Looney Tunes.
Questo documentario potente e fantastico è già tutto in questa inquadratura, cioè qui è già presente la maniera in cui Seidl e la sua troupe riescono a guardare e far guardare allo spettatore la caccia grossa nella savana: l’ennesimo spettacolo squallido di uomini piccini...