Non c’è niente di più pretestuoso, ingannevole e banalmente attraente dell’idea di un film realizzato in un unico piano sequenza, l’esercizio tecnico più complesso e insieme meno decisivo che ci sia nel cinema, uno che dovrebbe portare semmai a dubitare di qualsiasi film lo adotti. Nulla fa sognare di più il potenziale spettatore a fronte di un contributo effettivo alla bontà del film così ininfluente.

Non è però il caso di Victoria, che del piano sequenza unico che lo anima fa il miglior utilizzo che abbiamo mai visto (tanto da valere al suo operatore, Sturla Brandth Grøvlen, il primo nome nei titoli di coda), in una storia che avrebbe funzionato lo stesso anche senza ma che realizzata in questa maniera diventa un perverso viaggio assieme al tempo.

Dalle 4 alle 6 del mattino Victoria, ragazza spagnola da qualche tempo stanziata a Berlino, conosce dei ragazzi uscendo da un locale, con loro si incammina per strada e con uno di questi instaura in breve (brevissimo!) un rapporto di recipr...