Gli Amazon Studios sono il braccio produttivo di Amazon, e da quando si occupano anche di film (quasi due anni) con la loro sola esistenza testimoniano che la fruizione in sala non è una cosa del passato, come invece sembra gridare Netflix.

Spesso associamo Netflix ad Amazon (e per quanto riguarda le serie tv facciamo bene a farlo) ma in realtà non hanno molto a che vedere quando parliamo di produzione di film. Questo perché Netflix sta sfidando il mercato dell’esercizio, vuole rivederlo se non proprio saltarlo, fa stare i suoi film pochissimo in pochissime sale e poi li mette online oppure cerca di metterli online e in sala allo stesso momento, gli Amazon Studios invece non puntano dritti all’on demand, che ora ha aperto anche in Italia (chiunque paghi l’abbonamento ad Amazon Prime può vedere i loro film e le loro serie gratis), ma fanno esattamente la stessa trafila di tutti gli altri, tengono i loro film in sala quanto la concorrenza, rispettano le finestre distributive quando potrebbero non farlo. In una parola: credono nella sala. Anche se probabilmente non per gli stessi motivi né con la stessa fonte di lucro degli altri produttori.

Refn, Woody Allen, James Gray, Todd Haynes, Park Chan-Wook, Spike Lee, Jim Jarmusch… Tutti sono stati o stanno per essere sotto l’ala di Amazon

Sia Netflix che Amazon, hanno logiche diverse dai canali televisivi, non puntano all’audience o ad essere visti, i loro servizi di streaming sono a pagamento, puntano a fare abbonamenti e per fare abbonamenti serve pubblicità e non c’è pubblicità migliore di avere serie di cui tutti parlano, che vincono premi. Netflix è così diventato un brand affidabile e desiderabile, tutti lo consigliano e lo fanno perché hanno prodotto e distribuito serie senza pensare direttamente all’audience ma puntando ai leader d’opinione, cercando di piacere ai più appassionati. Amazon non si è comportato diversamente con le serie ma mentre con i film Netflix sembra voler giocare nel proprio orto, il grande colosso delle vendite ha altri piani.

Avendo prodotto film di grandi nomi del cinema che non sono ben visti dagli studios tradizionali si sta affermando come il porto franco dei grandi autori. Refn, Woody Allen, James Gray, Todd Haynes, Park Chan-Wook, Spike Lee, Jim Jarmusch… Tutti sono stati o stanno per essere sotto l’ala di Amazon con il loro prossimo film e adesso Manchester by the Sea, un progetto che nessun grande studio avrebbe voluto, è in lotta per diverse nomination. Ricevesse anche quella per miglior film (che non è difficile), Amazon Studios sarebbero il primo produttore “non convenzionale” a prendere una nomination all’Oscar.

È una questione di immagine e non di biglietti staccati. Non che non vogliano fare profitto, sia chiaro, è solo che questo sta altrove e un passaggio corposo in sala è utile a raggiungerlo. Contrariamente a Netflix, Amazon sembra ritenere che la maniera migliore per creare prestigio intorno a sé sia convogliare gli autori più amati (sebbene di scarso successo) e non far passare al cinema i migliori creatori di serie tv. Amazon vuole essere amata da chi ama il cinema, essere la scelta di qualità per un pubblico che è disposto a spendere per i film, che ci tiene e che sa molto bene chi siano tutti quei nomi. In un futuro addirittura potrebbe essere disposto a fidarsi interamente del brand Amazon Studios e andare a vedere i loro film dei loro nuovi autori, se mai avranno intenzione anche di scoprire qualcuno di nuovo invece che cavalcare i nomi più consacrati.

Ad oggi il fatto che Amazon abbia acquistato (diversi anni fa) imdb.com assume tutta un’altra luce, come il fatto che a capo della sezione produttiva non abbia messo qualcuno dei propri uomini, o un executive da corporation ma un produttore vero, un uomo di cinema che veniva da uno studio indie (Ted Hope che con la Good Machine che ha realizzato i primi film di Haynes, Inarritu, Solondz e il primo film americano di Ang Lee).

Un gesto chiaramente indicato alla conservazione di un certo modo di agire e scegliere. Di tutte le cassandre che abbiamo sentito in questi anni nessuno che abbia speso una parola per l’unica realtà che sta cercando di trasformare il cinema meno profittevole in un’impresa altamente fruttuosa, ragionando secondo logiche diverse e trovando i profitti (e i clienti) altrove ma senza dimenticare che il passaggio in sala, se ben curato e non sprecato in un numero eccessivo di schermi, ha un valore a prescindere dai biglietti staccati.

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