Lezioni di cioccolato è stato un caso cardinale. Uscito nel 2007, ha segnato per molti versi una certa idea di “rinfondazione” verso l’alto del nostro cinema medio, quello per il pubblico e votato all’incasso. La punta più fulgida di una tendenza in atto da tempo e che dopo di esso è sfociata nello stato ufficiale di “salute” delle nostre produzioni.

Diretto da Claudio Cupellini (poi autore di film più impegnati come Una vita tranquilla), scritto da Fabio Bonifacci (il genio della commedia più intelligente degli ultimi anni) e interpretato da Luca Argentero (unico vero volto nuovo e adatto al cinema internazionale per avvenenza e prestanza del nostro cinema), era una commedia leggerissima e ritmata, dotata dell’unico obiettivo di divertire e intrattenere con gusto.

Più ancora della parte artistica a segnare un solco è stata la parte produttiva. Da quando il product placement era stato dichiarato legale anche per il cinema italiano nessuno aveva osato tanto, girando un film in favore di un marchio (la Perugina) senza mai risultare invadente nella sua proposta. Forse Lezioni di cioccolato, produttivamente parlando, è il film più americano che sia stato girato in Italia negli ultimi 20 anni. E forse anche per questo non poteva non avere un sequel.

Per la presentazione di Lezioni di cioccolato 2 siamo stati invitati ad una visita alla fabbrica Perugina, luogo in cui vengono prodotti tutti i cioccolatini e caramelle che vanno sotto quel marchio e in cui sono state girate diverse scene del film che, per l’appunto, si svolgono nella vera scuola di cioccolato presente nella struttura. Perugina infatti organizza corsi aperti a tutti per i quali non è necessario avere esperienze di pasticceria. Gli stessi corsi che sono stati frequentati dagli attori per prendere dimestichezza con la manipolazione del cioccolato (il più assiduo e appassionato: Hassani Shapi; la più svogliata: Violante Placido).

Sempre i maestri del cioccolato sono stati i consulenti, hanno preparato la valanga di cioccolatini che vengono mangiati (un indizio: tutti quelli non mangiati sono di gesso in realtà, o finirebbero squagliati dai riflettori) e sono stati mandati anche nelle trasferte in esterna a fare cioccolata perchè si impone una produzione al volo. Particolare cura c’è stata per quelli “brutti”, cioè venuti male, che ovviamente dovevano simboleggiare di incompetenza.

Con questo sequel il placement sembra essere ancora più grosso, nel senso che la trama si svolge per gran parte nella fabbrica di cioccolato e ruota (storia d’amore a parte) intorno alla creazione di un nuovo cioccolatino che la Perugina ha davvero realizzato (ma molto tempo prima delle riprese) e che lancerà sul mercato contestualmente all’uscita del film: il Bacio al cioccolato bianco. Non ci è stato detto, ma sembra possibile ipotizzare che nel film sarà Luca Argentero a inventarlo.

Ad ogni mondo il team creativo, tra il primo e il secondo film, è cambiato, quindi il risultato non è garantito in nessuna maniera (anche se forse il medesimo team avrebbe lavorato sugli stessi toni e un cambio può giovare). Quello che rimane è un’idea industriale di cinema che sa pensare il filmmaking come un processo economico senza dimenticare di non nascondere l’opera dietro il marchio (cosa capitata più volte da quando il product placement è legale).

Un esempio purtroppo seguito solo dalle produzioni di Fausto Brizzi che sfociano addirittura nel crossmediale (in Italia!).